Cominciato che avevo a scrivere il pezzo in word, tra le nove del mattino e l’imbrunire, mi sono accorto che stavo adoperando un font specifico, quello in uso per una campagna politica che sto curando in questo periodo. Il particolare ai più non dirà niente─da quasi due anni non scrivo più di musica e mi occupo d’altro, come se prima non scrivessi d’altro occupandomi di musica─ma a me riesce incredibilmente a parlare dell’oggetto di questo articolo, il secondo e purtuttavia sorprendente album de I Cani. La vita che cambia, per me come per Niccolò Contessa─che guarda caso ora declina tranquillamente le proprie generalità, in luogo del riserbo dell’esordio─si mostra dai piccoli gesti, più correttamente: dal farci caso e renderli normalità, giusto appunti a piede della grande storia. L’impiegato diventa artista per molti ma resta impiegato, e invece di uccidere le rispettive paranoie annullandole come nel gioco della scopa, le esalta in scrittura, affinché gòdano di sublimazione: Niccolò si mostra nudo allo specchio e senza filtri, se non quelli sonori adibiti dalla produzione di Enrico Fontanelli (il man machine degli Offlaga Disco Pax), rivelando ora una lucida consapevolezza di come sia cambiata la propria vita─e parlare di sé è il modo migliore per sfangare un secondo album─ora una soluzione non ancora avvenuta con la propria adolescenza, vera o problematizzata che sia, quando “disagio”─le finte ansie─è il tag più usato sui tumblr anche fuori dall’età massima. Comunicato un po’ alla chetichella, senza un invece prevedibile strombazzamento data la fanbase nutrita, “Glamour” è prima di tutto un disco molto diverso dal debutto, non concedendo più niente a una eventuale piacioneria tutta romana bensì facendosi universale, come solo le cose molto private sanno essere: in questo la lezione della più recente ondata emocore italiana─dai Gazebo Penguins che concedono un corposo cameo a “Corso Trieste”, quasi un loro brano, ai Fine Before You Came omaggiati di un titolo in chiave Asperger e di un nome di ebanista─è evidente. Ma se “Il sorprendente album d’esordio” era un disco di power pop con le tastiere a suonare come chitarre, nel suo sèguito vige una maggior nitidezza del suono, merito della mole fontanelliana di lavoro che concilia una scrittura orlata naive, più Max Gazzè che Amor Fou (entrambi tra i paragoni letti in giro). Che roba, Contessa: Introduzione apre tra 20Hz e Bluvertigo ed è un manifesto, «voglio raccontare e che mi si racconti, il poco che sappiamo è meglio di niente». Morgan diceva che «verità si mostra solo a chi sa sopportarla»: il brano può essere letto sia come una critica alla critica─vedi la tensione involutiva con Mattioli di Vice─sia come la rivendicazione di una cerebrale anaffettività (o timidezza, mascherata da tale) che torna più avanti nell’album: «Non si può correre soltanto dietro a sentimenti», e agli scatti. Googlo Vera Nabokov per capire perché, e scopro una batteria suonata da “electronic renaissance” atto secondo, «da quando ho un tour E un lavoro»: già il ritornello ne fa un singolo, tra dieci anni ci chiederemo cosa fosse whatsapp, e anche l’amore cieco di Vera non sarà più nella cognizione dei contemporanei. Lungo Corso Trieste importa più la musica del testo scarnissimo, a ricordarci di come non si debba avere nostalgia per quando non contavamo niente, esattamente come oggi: stavo pensando alla fatica che ancora faccio, dopo dodici anni, a mettere piede dentro una determinata sede─e infatti non ce lo metto─quando mi raggiunge la notizia della scomparsa del padre di uno dei più cari amici, amico egli a sua volta. Ecco che, d’improvviso, mentre scrivo, lo spleen di Niccolò diventa il mio smarrimento, non importa per quale movente o fatto irripetibile; e mi torna in mente che la ragazza a cui diedi il primo bacio ha twittato che i «quattro poveri stronzi» in Non c’è niente di twee possono essere i figli dei quattro deficienti a fare cazzate di “Nord sud ovest est”, come se I Cani non avessero duettato con Pezzali in quell’epifania di oltre un anno fa. Tremendamente «bellissimi e perdenti», come gli Amari, ma senza sentimenti (mal celati), e col bagaglio della mezza celebrità che stava stretta a Toffolo e Bitossi nei Nome: associazioni d’idee inosabili nell’enigmistica di massa. “Tipo” le cattiverie da bulletto a cui nessuno ha chiesto niente, Niccolò appoggiato sul muro parla con la ragazza di qualcuno: nella Storia di un impiegato la leggerezza dei pariolini di 18 anni è andata trascolorando nella livida Sunday bloody Sunday, a far medaglia con la Storia di un artista e il suo facile elenco delle rime in ì, stranamente al passato per parlare di Piero Manzoni come Cossiga e la DC, BR e Platini, adoperando l’aggettivo borghese caro a Raina: ecco perché questa canzone è così pop. Milano contatti da cercare, Milano vicina all’Europa: ma l’America è lontana, e cosa dovrebbe invidiare chi sta a Roma a perder la poltrona? Nel mezzo, due spartiacque strumentali: Roma sud torna nel luogo del delitto alle 3 AM, tra rumori di una fabbrica in tensione e la luce della polizia, mentre Theme from Koh Samui prende a prestito il pianoforte dai Radiohead annunciando il futuro remoto del suo autore, a mezzanotte e col diluvio ha un perché commovente. Di là del guado, nel percorso di autocoscienza, San Lorenzo dal testo criptico che vorrebbe essere trascendente ma si fa oscurare dai suoni, come succede del resto al primo singolo designato: è una regola, la proporzione inversa nel peso di suoni e testi? Non lo chiarisce FBYC, idea geniale (la «paura dei Cani», ovvero di se stesso) per un brano dal target identificato con un finale memorabile, giustamente ripetuto all’infinito della quindicennità forever. Alfine Lexotan, esse romana che diventa tzeta e si fa sentire sopra il ritmo tutto battere, tre lustri dopo i Prozac+ cova la frase più bella del disco: «e non avrò paura se non sarò bravo come Thurston Moore», ma voleremo in cielo in stringhe e ossa, siamo gli stessi di dieci anni fa, di tre anni fa, di sei mesi fa. Niccolò ritorna Nino che non deve aver paura di tirare un calcio di rigore, è Charlie inchiodato ai banchi invece di fare surf─qualcuno ha dimenticato una boccetta di mdma nel testo─con l’unico obiettivo che la vita di un adolescente, di un ragazzo, di un uomo, di un vecchio e un bambino condivide: la ricerca statutaria della felicità, bastevole quantunque provvisoria, tutto tranne normale.
foto: Claudia Pajewski©