Uno spazio chiuso accoglie le confessioni di un racconto intimo, il ritmo liturgico definisce i passi che l’animo compie verso la coscienza di sé e celebra i momenti in cui ogni paranoia esce allo scoperto; qualche demone viene alla luce, mentre altre ombre giocano a creare visioni grigie e blu nel fumo denso che, fluttuando, prende la forma di corpi modellati dal subconscio.
Fated, il nuovo lavoro di Nosaj Thing, traccia il cerchio aperto di un percorso personale cominciato nel 2013 con Home: James Chung sembra essersi liberato definitivamente dalla mania per la perfezione con cui ha confezionato Drift, per abbandonarsi ad una produzione profondamente introspettiva, costruita su un flusso di coscienza che trasgredisce le regole della compiutezza. Le tracce scorrono fluide e portano con sé emozioni che non galleggiano più nello spazio intergalattico, ma si muovono sinuosamente tra le pareti di una stanza, e restituiscono sensazioni ovattate e riverberi melancolici. Il passaggio tra stati mentali è scandito dall’incedere continuo di un confortevole mid-tempo: le vibrazioni non subiscono dinamismi e accompagnano dolcemente la lenta metamorfosi delle creature disegnate dal fumo, in un’atmosfera che ricorda le nebbie fantasmagoriche di Burial e i vapori metropolitani di Machinedrum. Gli intenti sono dichiarati nella traccia d’apertura: Sci è un monologo interiore che, senza l’uso della parola, introduce alle paure più radicate e alle paranoie più profonde; Don’t Mind Me vanta la voce splendida di Whoarei, un gioco di controvoci alienate, con cui già XXYYXX ci aveva ipnotizzato, e il ritmo ammaliante dell’ R&B. Realize richiama alla mente le armonie desaturate e le dissolvenze oniriche di Clams Casino e Cold Stares sale all’apice della catarsi: Chance The Rapper rivela il demone della dipendenza, insediato nel corpo di chi non riesce a dimenticare il cucchiaio con la pozione per il braccio. Su una struttura marcatamente hip hop si costruisce l’impianto raffinato di Uv3, in cui Nosaj Thing raggiunge l’eleganza dei Telefon Tel Aviv; in Medic prevale il nostalgico effetto di una melodia su corde mentre A rievoca immagini di lungometraggi costruiti in simbiosi con la propria colonna sonora, come Nuovo Cinema Paradiso.
L’esperienza si esaurisce in 34 minuti di equilibrate fluttuazioni, la corposità spontanea e indefinita di questo lavoro risveglia entrambi gli emisferi cerebrali, così che le imperfezioni, che inevitabilmente si colgono, possano essere comprese nella loro liberatoria bellezza. Fated nasce dall’autocoscienza dell’artista, compiacere chi ascolta non è la missione immediata, ma un fine secondario: il godimento si rivela pienamente dopo molti play; è un bel disco, occorre solo lasciare che prenda corpo con calma. Vi stupirà.