Good Luck and Do Your Best.
L’augurio più banale e più comune che si possa fare a una persona.
Gold Panda se l’è sentito fare da un tassista giapponese di ritorno dal suo viaggio in Sol Levante nel 2014. Un’espressione che ha conservato dentro come un mantra, un’ispirazione, una guida retorica.
Buona fortuna, fa’ del tuo meglio.
E così è stato.
Nel suo ultimo disco Derwin Schlecker cresce, matura, si evolve. Non necessariamente migliora. Dopo un album epico come Half of Where You Live, orientato al club e da viversi nelle ore notturne più scure, bissare il capolavoro non era facile. La soluzione è stata allora un cambio totale di direzione: le atmosfere si stemperano, i suoni si fanno ambientali, le voci scompaiano.
Good Luck and Do Your Best è un album ascendente: parte senza lasciare nulla di più che semplice rumore di sottofondo per poi sorprendere, tenere per mano e far volare alto. Pink and Green, In My Car, Chiba Nights “parlano” della visione stereotipata che noi occidentali abbiamo del Giappone.
Il karaoke. Le città affollate. I treni senza conducente.
Poi accade qualcosa di traumatico, un brano che ammicca alla junk interrompe il flusso gentile del disco. È Song For A Dead Friend, è il twist nel plot della storia.
Da qui la leggerezza delle notti orientali cede il passo alla malinconia di essere in terra straniera. I Am Real Punk, Time Eater, i riverberi di Halyards. Suonano come preghiere ascetiche che ti fanno perdere il contatto con la realtà. Tutto passa dal livello terreno al livello spirituale.
Il disco si chiude con due pezzi che sono un inno alla distorsione e alla ripetizione: Unthank e Your Good Times Are Just Beginning. Conclusioni di un viaggio che ruba i suoni del Sol Levante (le campane dei templi, il fruscio delle canne di bambù, le risate frivole delle adolescenti) e li trasforma in raffinate ninne nanne per adulti.
Da questo momento in poi si torna a casa. Si vola a ovest.
Si vedono le nuvole oltre l’ala dell’aereo, posto finestrino.
Unico pensiero è chiudersi in studio a mettere insieme i pezzi, così che la meraviglia possa essere distribuita a tutti. In fondo è questa una delle grandi capacità di Gold Panda: elevare la banalità ad arte astratta.
E con questo album avrà anche fatto del suo meglio. Piace, incanta, trascina. Alla fine non colpisce. Forse a volte bisogna semplicemente accettare l’ascolto come piacere e non cercare significati più grandi delle intenzioni.