È uscito ieri, per Discodada, l’esordio solista di Umberto Palazzo, già membro dei Massimo Volume (fino al 1994) e fondatore dei Santo Niente.
L’ambizioso nuovo progetto fonda le sue basi sull’esperienza di un grande musicista (quale appunto Palazzo è) per colorare atmosfere dichiaratamente oniriche ed immaginifiche. Connotato dalla scelta di non utilizzare la batteria, Canzoni della notte e della controra, però, non convince pienamente. A straordinarie chitarre affianca sintetizzatori e strumenti estratti da antiche tradizioni (su tutti il mandolino) ed attinge a sistemi melodici reconditi e marcatamente mediterranei. Spicca il riuscitissimo sirtaki puramente strumentale de La danza dei Basilischi, punto di svolta del disco tra un esordio pigro e ansiogeno ed un finale più adulto e convincente.
Le prime tracce, in particolare, sono una falsa partenza. Complessi innesti di theremin e ritmiche scandite da pezzi di metallo attribuiscono a Terzetto nella nebbia, La luce cinerea dei led e Metafisica toni di angosciante immobilità che finiscono per offuscare alcuni passaggi davvero preziosi (su tutti l’intermezzo morriconiano de La luce cinerea). Dai testi, ripetitivi ed enigmatici, giunge inoltre poco conforto.
Girato l’angolo della traccia centrale, però, il disco prende vigore, fino alla squisita Controra, dai tratti che fondono la canzone napoletana ed atmosfere noir, in cui basso e sintetizzatore salgono in primo piano accompagnati da una chitarra minimale. Le stesse liriche, sempre particolarmente ritmate e scarne, prendono coraggio ed ammaliano con un racconto torrido e languido.
La canzone più incisiva è anche l’unica che possa vantare una traccia di batteria. È, però, più un caso che non un sintomo di una scelta poco fortunata, vista Aloha e il suo incalzare sicuro benché sostenuto solamente dal basso.
Le atmosfere notturne tornano in Acchiappasogni, il brano che chiude il disco, ma questa volta, complice la voce da ninfetta di Tying Tiffany e la vena pop, il brano non risente del theremin, che al contrario, lievemente accennato, rifinisce alla perfezione questa ninna nanna di copolesselliana memoria.
Un disco sofisticato e di sublime esecuzione seppur a in diversi punti riecheggi più un esercizio di stile che non una genuina espressione artistica.