Sono anni ormai che – prima silenziosamente, ora per fortuna con discreto clamore – le migliori giovani menti di questa Italia se ne stanno allontanando appena possibile, in cerca di quelle condizioni minime di vivibilità che evidentemente qui nessuno si preoccupa di garantirci. Inevitabilmente negli ultimi mesi abbiamo iniziato a scoprire che anche i musicisti fanno parte di questa schiera di speranzosi emigranti. E lo scopriamo perché per fortuna alcuni di loro riescono ad emergere, e a “tornare” sotto forma di canzoni nel Paese che sembra una scarpa. E’ successo, e ne abbiamo parlato su DLSO, con i Vadoinmessico. Ma non è l’unico caso.
Oggi vi presentiamo i Black Casino and the Ghost, band formatasi ufficialmente a Londra, ma che ha come spina dorsale un duo tutto italiano, formato da Ariel Lerner ed Elisa Zoot, rispettivamente chitarra e voce (+tastiere). Proprio a loro abbiamo chiesto di raccontarci la storia della band (composta anche dal bassista Gary Kilminster e da Paul Winterhart, già noto come batterista dei Kula Shaker) – e non solo.
Ci raccontate da quando siete a tutti gli effetti una band, e come siete arrivati a pubblicare il vostro primo Ep? da quanto tempo lavorate in 4, e le canzoni come sono nate?
Io e Ariel abbiamo fondato Black Casino and the Ghost nel 2010 qui a Londra.
Il progetto ha visto il classico susseguirsi di label, batteristi e bassisti fino a stabilizzarsi questo autunno, con l’aggiunta di Paul dei Kula Shaker alla batteria e Gary al basso.
Siamo arrivati a pubblicare il primo Ep grazie a delle persone che hanno creduto nei nostri pezzi e grazie a chi collabora con noi ogni giorno sulla label Lucky Machete. Siamo un piccolo team umanamente molto compatto e lavorativamente instancabile
Le canzoni nascono tutte a notte fonda da me e Ariel, nel nostro studio. Alcune sono scritte a quattro mani e altre in solitudine. Una volta che la prima stesura e’ ultimata, ci spostiamo a registrare basso e batteria con Gary e Paul in studi più grandi, e da lì parte tutto il lavoro di produzione vera e propria.
Si è parlato di voi più su riviste inglesi che italiane, eppure il duo da cui è nata l’idea della band ha origini italianissime…come vi siete conosciuti? la decisione di trasferirsi a londra l’avete presa ognuno per conto proprio e l’incontro è stato successivo, o siete partiti dall’italia con l’idea di fare musica in Inghilterra?
Noi due ci siamo incontrati a Roma, dove siamo cresciuti entrambi nonostante le nostre origini non siano 100% italiane (io sono Italo-Inglese e Ariel ha passato la sua esistenza tra Tel Aviv, Los Angeles e Roma).
Il primo incontro è avvenuto in uno studio dove ci siamo trovati per caso a lavorare insieme.
L’idea di trasferirsi a Londra per suonare la coltivavamo tutti e due sin dall’adolescenza, poi dopo aver iniziato a lavorare insieme il passo è stato inevitabile. Volevamo metterci alla prova suonando davanti a un pubblico di estranei e volevamo inserirci in un contesto che ci permettesse davvero di imparare.
Io personalmente (Elisa, ndr) ero stanca di quell’aura pesante e per cui “eh vabeh ma non è colpa mia se non vado avanti, il problema vero è che in Italia l’industria musicale è morta e il mercato è troppo ristretto, soprattutto se non canti in italiano”.
Non volevo concedermi alibi che mi portassero all’apatia. Volevo crescere, capire dove fossero i miei limiti per provare a superarli, e sentivo di non poterlo fare rimanendo nella placida e ovattata Italia.
Per non parlare poi della nostra perplessità nei confronti della società Italiana in generale, dove per farti spazio devi prendere a gomitate il tuo vicino, dove è elogiato il disonesto che bypassa le regole, dove non esiste l’intraprendenza (specialmente da parte delle giovani generazioni) e dove la chiesa detta legge quotidianamente. Vedere mafiosi , fascisti e incapaci di ogni tipo in parlamento poi di certo non ha aiutato…
Quindi un bel giorno abbiamo impacchettato i nostri pedali e il nostro laptop e senza conoscere nessuno ci siamo trasferiti qui a Londra. Email dopo email, lavoretto dopo lavoretto (taaaante pinte spillate ehehe) e concerto dopo concerto ci siamo creati una nostra piccola rete e le cose sono iniziate a succedere. …
E’ molto difficile “definirvi” musicalmente – non che sia così importante. Al suono dell’Ep siete arrivati per gradi, col lavoro, o è il frutto di un mix tra le diverse influenze musicali di ciascuno di voi?
Il suono dell’Ep è un mix di quello che ci piace, della musica che amiamo ascoltare e suonare…ci sono parecchi riferimenti a sonorita’ anni 60-70 (tastiere vintage a palate) filtrati da una buona dose di alternative rock.
Già al primissimo ascolto ci si rende conto di trovarsi di fronte ad una voce importante, quella di Elisa. Non vorrei esagerare, ma mi hai ricordato Tori Amos in alcuni passaggi. Vieni da studi specifici? Quando (e cosa) hai iniziato a cantare?
Wow grazie! ho cominciato a cantare e scrivere musica più o meno all’inizio dell’adolescenza, già suonavo il piano da anni… da allora non ho mai smesso, il mio scopo è sempre stato passare più tempo possible a registrare in studio (scuola migliore di tutte secondo me) Gli artisti che mi hanno influenzato di più vocalmente sono stati senza dubbio Jeff Buckley, Jim Morrison e Thom Yorke, e compositivamente Pink Floyd e Radiohead.
Ultimissima: come stanno rispondendo le riviste musicali e i siti/webzine inglesi a questo primo lavoro? è più semplice farsi notare?
Stanno fortunatamente rispondendo bene, siamo contenti non so se sia più semplice farsi notare, immagino sia difficile un po’ ovunque… Comunque per ora siamo contenti delle prime reazioni, siamo felicissimi di suonare in giro e siamo gia’ al lavoro sul nuovo materiale. L’importante per noi è non restare mai fermi e sicuramente le risposte all’Ep ci danno una forza in piu per andare avanti.
Ringraziamo dunque i ragazzi, auguriamo loro uno strepitoso futuro (sono davvero bravi, lo meriterebbero) e prima di lasciarvi in regalo il loro Ep Falling into pieces, vi invitiamo a iscrivervi alla loro pagina Facebook, sperando che molto presto tornino in Italia per suonare!