Innanzitutto ti va di presentare te e il tuo lavoro ai nostri lettori?
Il mio lavoro parte da una ricerca che conduco da molto tempo, vale a dire quella di reperire fotografie nei mercatini di tutta Europa, da Roma a Parigi a Londra. Aspettavo il momento ed il luogo giusto per creare un’istallazione con tutto questo materiale, e Maranola col suo borgo mi ha offerto l’occasione. La mia formazione artistica affonda le radici nel teatro, nelle performance e nell’ambito della comunicazione; per questo quello che volevo era creare una sinergia tra lo spazio abitato e i suoi spettatori, indagando all’interno della memoria del paese e dei suoi meccanismi sensoriali. Quando produco qualcosa, voglio poter coinvolgere le persone al punto da lasciarle libere di parlare ed esprimersi. Questo fornisce un’identità precisa all’opera, che si fa “contenitore vivo” del posto che in quel momento viene vissuto da tutti.
Tu collezioni vecchie fotografie, come hai iniziato e cosa ti ha spinto a cominciare questa raccolta di foto antiche di gente sconosciuta?
Mi è sempre piaciuto andare a visitare i mercatini dell’usato, è una cosa che ho ereditato da mio padre: ricordo che sin da piccolo abitualmente andavamo in questi luoghi. Hanno un fascino davvero singolare, che è difficile da spiegare a parole. Così per caso ho iniziato a procurarmi fotografie antiche, senza sapere dove tutto questo mi avrebbe portato; ma era già dentro di me il desiderio di realizzare qualcosa. Quando poi mi sono recato a Maranola è nato il progetto. Nell’acquistarle però io non vedo un collezionismo, piuttosto un modo per riscattare immagini di persone che non ci sono più e che col tempo andrebbero dimenticate. Prenderle con me vuol dire dar loro un nuovo valore, per mostrarle e quindi farle diventare parte della memoria collettiva. Mi sento investito di un senso di responsabilità nei loro confronti: ho la possibilità di prendermi cura di questo materiale e di entrare in contatto con l’immagine di persone che hanno posato per pochi scatti. E’ come se potessi rendere eterno il loro passaggio sulla terra. E’ tragico sentire di case spazzate via dai fenomeni atmosferici o dal fuoco, perché insieme a loro vanno via tutti i ricordi di chi vive quei luoghi; come le fotografie ad esempio, che possiedono un’energia ricca di pensieri, sentimenti ed esperienze.
Il primo elemento che hai avuto tra le mani era una fotografia che qualcuno ti ha regalato, oppure che hai trovato, era un ricordo, o cosa?
Sono foto appartenenti al continente europeo, trovate nei mercatini; nessuna è connessa con la mia vita personale o col passato della mia famiglia. Tutte le fotografie che acquisto appartengono allo stesso periodo, fine ‘800 inizi ‘900; hanno il cosiddetto formato di visita (cartes de visite), dal momento che venivano scambiate come biglietti. E’ interessante osservarle per vedere le pose piuttosto che gli abiti, pensando a queste persone che si erano recate negli studi dei fotografi e dopo aver indossato l’abito migliore posavano per l’eternità.
Durante il festival SEMinARIA SOGNinTERRA hai potuto mostrare la tua collezione installandola su una vecchia casa abbandonata, era la prima volta che esponevi le tue foto e ti facevi raccontare dalla gente un ricordo stampato in bianco e nero?
Maranola è stata la mia prima esperienza; il progetto è nato dopo aver visitato il paese. Il fine dell’installazione era proprio questo parallelismo tra l’album gigante (vale a dire le foto sulla casa) e tutti i racconti della gente del posto, questo confronto tra le foto degli sconosciuti e le foto dei Maranolesi, per arrivare in fine al concetto di memoria collettiva. E’ un progetto ancora in divenire e che vorrei realizzare in altri posti, visto che la memoria è un campo vasto da indagare e che sono molte le persone che hanno voglia di raccontare e necessità di essere ascoltate.
Le persone che hanno partecipato come reagiscono alla riscoperta dei loro ricordi?
La gente del posto è stata molto disponibile nei miei confronti; il raccontare e l’essere ascoltati li gratificava, dal momento che avevano la possibilità di scavare nella loro memoria. Questa è stata una parte molto importante, se non la più importante perché mi ha permesso di entrare in contatto diretto con loro, di entrare nelle loro case e quindi essere partecipe delle loro emozioni. Dall’inizio mi è piaciuto questo incontro tra la materialità della foto e la sensibilità dei suoi proprietari: per questo motivo il titolo del progetto è stato Cartes de visite.Materia sensibile. Durante le interviste, ci sono stati momenti molto emozionanti e suggestivi come per esempio la storia di Armando (un signore di 90 anni) che mi ha aperto le porte della sua casa. Ci siamo seduti nel salone, e mentre la moglie preparava il caffè in cucina, ha iniziato a descrivermi una foto in cui era soldato, prendendo da qui lo spunto per raccontarmi dell’assedio di Maranola da parte dei tedeschi. Mi ha raccontato anche la storia di suo padre e ha letto poesie autografe sulla tragedia della guerra. Durante la narrazione la moglie ci ha raggiunto in salotto, ci ha versato il caffè e sedutasi sul divano, ha iniziato a guardare il marito con tenerezza. Nonostante fossi preso dal registrare l’intervista, nel trovarmi di fronte a questa scena mi sono commosso, perché ho compreso che in questa coppia, nonostante il passare del tempo, c’era ancora tanto amore e tanta ammirazione. Ed è questo, insieme ad altri aneddoti, uno dei maggiori piaceri che ho portato con me.
Come procedete alla scelta della foto?
Nelle residenze svolte prima del festival, ho preso contatto con le persone del paese; ho chiesto loro di cercare una foto a cui tenessero particolarmente, perché legata ad un ricordo bello o meno bello, o che comunque li trasportasse indietro nel tempo. Dopo alcuni giorni sono ritornato a Maranola, lasciando il tempo per riflettere e pensare. In questo modo tutti hanno scelto la foto per loro più significativa, ed è stato molto bello perché in genere le persone che ho incontrato possedevano poche foto, e questo ha aggiunto un valore in più all’immagine.
Sei tu che fai le domande oppure le persone autonomamente cominciano a narrare?
Sono le persone stesse appena si sentono a loro agio, cominciano a descrivere le immagini, e un ricordo ne richiama un altro. All’inizio sono imbarazzati, perché devono mettere a nudo un racconto privato, ma quando prendono il via non si fermano più. Per loro questo diventa un modo per rivivere emozioni passate e quindi rivivere episodi rappresentativi della loro vita. Soprattutto gli anziani hanno tanto da raccontare ma nessuno ha tempo per ascoltarli, trascurando il fatto che loro sono la memoria.
E le reazioni di chi invece poi ascolta il racconto della foto come sono?
Devo dire che è stata un grande sorpresa il fatto che il progetto abbia coinvolto, al punto che si sono create file di persone in attesa per ascoltare i racconti; la gente era incuriosita dal fatto che potessero conoscere aneddoti su paesani che vedono quotidianamente tra i vicoli del borgo, senza aver però confidenza tale da poter conoscere episodi intimi e personali. Era bello vedere come le persone si riconoscessero o riconoscescessero un familiare nelle foto, e aspettassero il loro turno per ascoltare in prima persona il racconto.
Questo era il mio obiettivo: condurre le persone a fermarsi davanti alle foto allestite in questo “museo quotidiano”, per ascoltare i loro commenti o pareri.
C’è una foto a cui sei particolarmente affezionato? E se c’è perché?
Come ho detto prima, c’è una responsabilità nel conservare tutte queste immagini, visto che sicuramente sono uniche. Per quello ognuna di loro ha la sua particolarità. Parte del progetto era proprio quello di prendersene cura; la sfida stava nel fare un allestimento improbabile, che contemplava anche il rischio degli agenti atmosferici, quali sole e pioggia; nei giorni dell’allestimento e del festival l’opera è diventata viva e necessitava di un continuo controllo; per questo abbiamo dovuta proteggerla dal sole con lenzuoli bianchi e dalla pioggia con teli di plastica. In questo modo è emersa la fragilità e la sensibilità di questi materiali. Per questo non dico che non c’è una foto a cui sono più legato, hanno tutte la stessa importanza. Inoltre, come parte integrante del lavoro e della ricerca, ho lasciato un numero di foto allestite, per vedere come piano piano, col passare del tempo, queste immagini diventeranno evanescenti.
Tra i protagonisti delle tue foto c’è qualcuno che avresti voluto conoscere e su cui ti immagini come sarebbe potuto essere?
Uno dei racconti che più mi ha colpito è stato quello dello Zio Raffaele. Ciò è dovuto al fatto che tutte le persone del borgo conoscevano questo celebre personaggio e per questo sono stati proprio loro a raccontarne la vita e il carattere. Insomma questo è l’unico episodio che non appartiene ad una sola famiglia, ma a tutti gli abitanti del borgo, e che per questo bene incarna il concetto di memoria collettiva.