Nel mare magnum che è diventato quello dell’internet e del mondo musicale che si sfida a colpi di celodurismo e broncetti, si fanno notare i Mamavegas.
Ieri ne hanno già parlato loro, in prima persona, della produzione del disco, sono qui solo per aggiungere cosa ho provato nell’ascoltarli.
Tempo fa, devo ammetterlo, leggendo qua e là, il loro nome non mi aveva granché colpito, anzi; avevo pensato ad un progetto musicale trito e ritrito della solita band italiana che suona da qualche parte e poi finisce al concerto del 1 maggio (senza nulla togliere eh).
Ma ho un brutto difetto io: delle volte mi faccio delle idee tutte mie senza una base solida.
Così sono andata a sbatterci la testa contro, avevo sbagliato tutto.
I Mamavegas sono una band dalle melodie folk, jazz e post rock, composta da sei teste, dove tutti suonano, tutti cantano e tutti mettono mani ai testi. Ognuno di loro proviene da realtà musicali differenti (chi dal jazz certo, chi dall’elettronica e molto altro), ma questo fa sì che si sia rafforzata l’armonia. Attualmente vivono e operano a Roma, ma si son spostati da varie città, da cui hanno assimilato suoni e paesaggi che rendono idealmente in musica.
Spulciando, scopro che avevano già raggiunto un discreto successo prima con l’ep del 2010 “This is the day! I see” e poi con quello del 2011 “Icon Land” pubblicato dalla 42 Records, e come vi avevamo già anticipato quando abbiamo introdotto i teaser trailer della lavorazione al disco.
Il 16 novembre è uscito “Hymn for the bad things”, primo disco, pubblicato sempre dalla 42 Records e Audioglobe.
L’album è composto da 11 brani che seguono un fil rouge: temi trattati sin dall’alba dei tempi come l’amore, il tempo, la speranza, il bello, trattate però in maniera totalmente diversa, come il mito della caverna di Platone al contrario, un esorcizzare le paure legate ad ogni esperienza (e questa la rubo direttamente dal loro comunicato stampa, perché era una frase già stra bella così e non la si poteva cambiare!).
La formula Mamavegas è ovviamente spiazzante, dato che mescola tanti generi e tante tematiche, e non può che attirare l’attenzione.
Sicuramente Roma ha un’ottima scena indipendente, da dove è facile attingere e o comunque dove è data una possibilità per provarci e farsi conoscere. Avendo subiti alcuni cambi di line up, e trovato una direzione, i Mamavegas sono approdati nella scena indie.
Le melodie ti prendono per mano per tutta la durata del disco, sempre gradevoli e mai stucchevoli.
Suoni decisi, voce del cantante che aleggia sulle note. Uno dei pezzi che mi è piaciuto di più è “Mean and Proud (The beauty)”, per cui è uscito anche il videoclip girato dal regista Iacopo Zanon.
Per non parlare di “Blackfire (Trust)” una bella ballata folk chitarra e voce. E vi dirò, mi son commossa.
Il brano si apre con chitarre e batterie decise, polifonia di strumenti e voce leggiadra, e racconta di un corpo umano che crescendo perde la sua bellezza per diventare cattivo ed orgoglioso. Da brano a brano si notano tutte le varie influenze musicali che confluiscono in una vela sola; il risultato è di qualità. La scelta di un gruppo italiano di cantare in inglese ha sempre generato alcune diatribe, ma è una scelta che è ricaduta con spontaneità perché meglio si prestava al genere e allo stesura dei testi. Una bella notizia è che questo primo album dal prossimo 23 febbraio sarà distribuito in tutta Europa dalla Rough Trade (mica pizza e fichi).
Mamavegas, perdonatemi, mi sono ricreduta su di voi, e adesso ho riempito il mio last.fm dei vostri ascolti.
Se andassi a vivere in un bosco sarebbe uno dei primi dischi che porterei dietro.
In una parola: emozionante.
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