Giuseppe Di Carlo è uno che disegna col cuore, lo capiresti anche se non ha mai preso una matita in mano. Ha lo stile acerbo ma forte tipico di chi vede il proprio lavoro come una dilazione dell’infanzia, a cui viene così naturale illustrare che ti chiedi se riuscirebbe mai a stare dietro ad una scrivania con la camicia inamidata. Eccezionalmente di giovedì, le sue risposte al nuovo Passaporto.
Attraverso quali fasi è passata la tua formazione? Scoperta – passione – studio o viceversa?
Il disegno è una passione, uno studio ma tutte le volte che disegno, diventa anche una scoperta.
I tuoi disegni nascondo mai un messaggio?
Sì, non sono nascosti occorre leggerli con un nuovo linguaggio. I miei disegni li definisco dei rupestri contemporanei e letti allo stesso modo dei linguaggi primordiali, ma in chiave contemporanea.
L’arte è errore o perfezione?
L’arte è entrambe le cose: errore umano e perfezione umana. Ma chi ha stabilito cos’è perfetto?
Come si disegna una preoccupazione?
La preoccupazione in questo momento storico non è più un disegno, è una realtà, un’illustrazione che ha preso vita. Non so che forma possa assumere, può avere i mille volti di chi è preoccupato o disperato, sicuramente sarà nera.
Ci mandi una fotografia della scrivania su cui stai lavorando in questo momento?
Più ordinata ultimamente, ma con tendenza al caos.
Che rapporto hai con la carta?
Quotidiano, costante, giornaliero.
Una paura che ti porti dietro da quand’eri bambino.
Non saprei proprio quale delle paure che ho ora sia quella che è cresciuta con me. Sono compagne di vita.
Ti hanno mai beccato mentre dipingi un muro?
Si, ho smesso.
Oltre la creatività, cosa fa la differenza tra un illustratore bravo e uno mediocre?
Lo stile, la tecnica, cosa e come comunica, il linguaggio con cui si esprime.
Se ti dico Dance Like Shaquille O’Neal, cosa mi disegni?
Palle, palline, palline rosse e gialle.