[quote style=”2″]”I 291 Out nascono a Milano nel 2009 come quartetto di musica strumentale. Presentano brani originali che viaggiano in progressione libera su frequenze jazz-funk e rock psichedelico. Sempre alla ricerca di suggestioni impreviste, imprimono un carattere sperimentale al loro progetto sonoro attraverso il linguaggio della video arte”.[/quote]
I 291 Out venivano presentati così qualche tempo fa per l’uscita del loro precedente lavoro, ad oggi si potrebbero presentare come gruppo dedito ad un sound immaginifico, spettrale e cinematograficamente perfetto. Le nove tracce che compongono questo Vol.7 a firma Really Swing, infatti, sarebbero la colonna sonora ideale per tutta una serie di pellicole, inopportunamente definite di serie B, made in Italy. Brani come Vita da Killer, Il mitra solitario, Ancora una dose sembrano uscire direttamente dalle colonne sonore di pellicole di Carlo Lizzani o Steno e, perché no, Damiano Damiani.
Ottime le tinte noir di Vai Gorilla, su cui immagino Franco Nero muoversi lento, stretto nel suo cappotto di feltro, in una fredda e umida notte milanese. Al suo fianco camminerebbero Luc Merenda e Maurizio Merli mentre Thomas Milian rimane dietro, staccato di qualche metro, fumando una lunghissima sigaretta.
C’è del cupo e del tenebroso in brani come Gatto Sequenza, una leggera sensazione di morte subito smorzata dalla vibrazioni jazz oniriche di Le calde caldaie. Si, perché i 291 Out sono dei musicisti sopraffini che riescono a fondere con abilità, classe e maestria i richiami jazz con i sentori di certo funk d’azione rigorosamente di marca 70’s. Brani come Endovena e Ancora una dosa fanno venire fuori il lato più psichedelico del collettivo di base a Milano ( e dove sennò): ritmi lenti, passaggi delicati di chitarre che si muovono sinuose su ritmiche appena accennate. Il canto del cigno dopo il colpo di una Beretta che ha colpito dritto al cuore, pochi istanti e gli occhi che si chiudono; prima di scomparire, e avere la definitiva assoluzione, il bandito non ha che da chiedere un’ultima dose.
Un disco prezioso, suonato con maestria e legato in maniera inscindibile all’immaginario delle pellicole di genere anni ’70 che rappresentano un vanto assoluto per il cinema nostrano (IMHO) e di cui il maestro Micalizzi andrebbe fiero.