Alla vigilia di III, primo LP di materiale originale e terzo in assoluto, i BADBADNOTGOOD ammettevano di voler tenere vivo lo spirito del jazz senza pretendere di rivitalizzarlo dalle radici. Due generazioni separano chi li sponsorizzò come prodigi dopo le prime reinterpretazioni hip-hop da chi li consacra ora come singolare band di accompagnamento. Se la benedizione di Tyler, the Creator non impediva ai loro insegnanti della jazz school di storcere il naso, l’ammirata fiducia di un membro del Wu-Tang Clan avrà forse effetti diversi.
L’innocenza del trio –che ora produce per Earl Sweatshirt, remixa DOOM e viene remixato da Kaytranada– e l’eterna vita di Ghostface si incontrano a metà strada tra Toronto e New York. Si presentano, riconoscono che la curiosità degli uni è il frutto dell’insaziabilità dell’altro, lo traducono in suoni e rime.
Mono cresce, apprendendo dure verità fino a mutarsi in Experience.
Basta il climax della traccia finale -simile a Flashing Lights di qualche anno fa- per constatare la presenza di tre eccezionali e precoci esperti di musica moderna: un mix ben calibrato di freschezza, cultura, gusti e doti.
La title track è una dichiarazione di intenti: le sagge storie del brooklyniano precedono due accordi liberatori e grati a Welcome 2 Detroit di J Dilla. Proprio un ex-Slum Village, Elzhi, compare in Gunshowers, in cui è esplicita la volontà di Ghostface di ridefinire gli orizzonti del genere grazie a un vocabolario “potente”.
Gli ospiti attribuiscono credibilità al contesto, come testimoni di un tribunale del ghetto.
In Six Degrees, Danny Brown –coprodotto dai BBNG in un pezzo del 2013- blatera orgogliosamente la sua atipica superiorità.
Chitarre acquose bagnano ritmi sincopati, nella cui atmosfera più notturna trova posto il pioniere della soultrap Tree, voce sanguinante della spietata ed artisticamente variopinta Chicago (definita “Chiraq” in Street Knowledge).
Doom approfitta del clima grottesco per chiudersi a chiave, scioglilingua dopo consonanza, in una stanza lontana da tutti gli umani, minacciandoli con una pistola a raggi appena visibile.
Stark’s Reality è un instrumental che andrebbe a genio ad un Tarantino francese: la libertà creativa dei tre canadesi -assistiti nella produzione dal rispettabile Frank Dukes– è capace di raccontare la grande mela senza ausilio di parola alcuna.
Il rapper raggiunge la quasi-jam-session Tone’s Rap per caso, in un ebbro delirio di onnipotenza che insegue i colori della base psichedelica.
La parola di Killah è pepita dorata (Nuggets Of Wisdom), ma soprattutto food for thought (Food, Street Knowledge), nutrimento per la mente attiva; è un inno alla vita e ai suoi alti e bassi.
Una sotterranea collaborazione tra BBNG e Wu-Tang era avvenuta già nel 2012, per la colonna sonora del film di RZA. Ma mentre il collettivo –citato nell’emblematica Food- non rischia più, a 45 anni Ghostface non molla la maschera indossata nel suo ultimo album, rimanendo fedele all’onestà della strada iniettata con perizia in ogni pezzo. Le rime sono per lui passatempo e missione, vocazione e sport.
Dura è la sfida di un album rap guidato da strumenti “veri”, ma qui la genuinità della composizione è disarmante. Lontano dall’immediatezza di un lavoro pop, Sour Soul è un tentativo di sperimentazione tanto sincero quanto coerente. Messa da parte l’urgenza di protagonismo, l’anima tetra e aspra di Ghostface si svela con naturalezza: l’epoca in cui cucinava rocce bianche è andata, ma rinnegarla è l’ultima delle sue intenzioni (Mind Playing Tricks). In 36 Seasons i The Revelations fallivano a mantenere alta l’attenzione; lungo Sour Soul i BADBADNOTGOOD sprigionano l’arcobaleno delle loro influenze, in 33 minuti intensi e -se non sempre leggeri- fluidi.