Ho i muscoli tesissimi, la schiena bruciacchiata e un principio di tendinite. Al netto dei danni fisici dovuti alla mia rinomatissima sportività e al fatto che la protezione 30 comprata il giorno prima con grande entusiasmo sia rimasta nello zainetto di plastica trasparente in un deposito x al di là del mare, posso affermare con convinzione e una certa ilarità che guardare Napoli da una canoa assieme a Giovanni Truppi, di domenica, mi ha fatto un grande bene.
Che può sembrare una cosa stranissima, più del fatto che io abbia ammesso di stare bene. Ma la scorsa domenica, invece che litigare, ho investito i miei tendini (giocandomeli) su due pale che guardavo entrare e uscire dall’acqua mentre dalla punta affusolata di una canoa si affacciavano i 26° di una Marechiaro meravigliosa, scelta da Truppi stesso per il terzo appuntamento di una cosa bellissima che si chiama Nomicosecittà. E che io adesso proverò a spiegarvi.
Napoli è piena di luoghi comuni, di luoghi conosciuti ai più e di posti che, anche se sei napoletano, puoi scoprire per la prima volta dopo anni o per mano di un amico particolarmente caro, o di un saggio o dei tuoi piedi stessi. Quel posto, quando l’hai scoperto, diventa come una specie di testimone da passare. Diventa un luogo sacro. Non saprei spiegarlo altrimenti ma forse questo è l’aggettivo più giusto. Nomicosecittà nasce come “tradizione di passeggiatori”, cioè per passare il testimone di un luogo, appuntamento dopo appuntamento. Ogni volta c’è un ospite che sceglie il suo luogo, quello in cui portare gli occhi degli altri. Domenica era la volta di Giovanni Truppi.
Proverò a raccontarvi quello che Giovanni mi ha fatto vedere e che -ahivoi -la fotocamera del mio cellulare demmerda non riprodurrà fedelmente.
E cioè arrivare già stanchi perché noi (io e quell’altro genio della mia amica Elvira) non si era mai capito che piazzetta Marechiaro era lì dov’era e abbiamo percorso anzitempo tutti quei chilometri previsti dal percorso di poi, dichiarandoci inevitabilmente in ritardo.
Sembra uno di quegli appuntamenti alla mattina della prima gita di terza media. Ma si ha tutti almeno vent’anni di più.Ostentiam o gli uni con gli altri delle facce rilassate ma veniamo traditi dalle borse sotto agli occhi che parlano del sabato precedente e da una leggera tensione che si accumula all’altezza delle mascelle e narra di una cosa sola: la fottuta paura della canoa. Spostiamo il pensiero più in là, iniziamo a muovere i piedi.
In questa prima parte della passeggiata possiamo ancora stare coi piedi per terra. Facciamo tutto velocemente che abbiamo fatto tardi e alle 11:45 dobbiamo tutti salire sulle canoe e noi vorremmo invece continuare a procrastinare indugiando sulle innumerevoli domande fatte alla signora Allegra che ci sta portando per i vicoli del borgo vecchio di Marechiaro e risponde alle curiosità di giovani nati e pasciuti a Napoli, pur essendo spiccatamente milanese.
E io non so se andare al manicomio oppure no, per tutte le cose che dovrei sapere e non so. Lei ad esempio sa che quel vicolo si chiama Madonnella, ma pure Polo Nord perché è molto umido. E io non me lo sarei mai immaginato che in un anfratto di Marechiaro avrei trovato il Polo Nord. E scendendo più giù sa anche che alcune di quelle case (non allego le foto perché offendono la vostra sensibilità) sono state fittate in passato ai giocatori del Napoli. Quali sono lei non lo sa. Tiferà per il Milan. Ma noi ci siamo fatti una vaga idea.
Lasciamo le facce verdi sulla discesa di Marechiaro, siamo prossimi al mare. Te ne accorgi perché se alzi la testa in alto a sinistra vedi la finestrella, quella finestrella e davanti a te una popolazione giovanissima e promiscua, già scurissima da almeno un mese, che sta per invadere gli scogli. Tutti questi pensieri servono a distrarmi dal fatto che tra poco dovrò guidare una canoa e non so con chi mi accompagnerò ma spero che il più scarso di tutti non capiti proprio con me. Ecco che il momento assomiglia sempre di più all’assegnazione delle squadre nel gioco del fazzoletto o in qualsiasi altro gioco di abilità in cui se capiti con quelli forti sei salvo, hai già vinto e non devi fare niente.
Non so per quale grazia celeste abbiano deciso di mettermi col più forte di tutti, Gianluca, che per comodità chiamerò Superman, canottiere espertissimo che ha decretato la mia salvezza, risparmiandomi da prevedibili incontri ravvicinati con gli scogli. Grazie Superman.
Giovanni ha già il costume, è già in canoa. Va speditissimo e dobbiamo stargli dietro.
Mentre Superman cerca di istruirmi, spiegandomi gli equilibri delle pale (ma io faccio sempre, sempre, sempre, sempre lo stesso errore), gli altri sono già più in là e io gli dico che dobbiamo muoverci se no che scrivo su DLSO. Quindi mi illudo di rendermi utile, alternando un remo all’altro, sincronizzandomi ai suoi movimenti. Mi illudo che se ci stiamo muovendo è anche per merito mio, ma lo so che non è vero. Però intanto abbiamo raggiunto gli altri e Giovanni inizia a spiegare perché ci ha portati qui: “Siamo qui perché mi ci ha portato un mio amico per la prima volta un anno fa e io a Marechiaro non ci ero mai stato. Sono di Napoli ma vivo a Roma da 11 anni ormai. Sono venuto qui in canoa, sono arrivato fino alla Gaiola e mi piaceva l’idea di farvi vedere Napoli dal mare. E basta, questo”.
Poche, pochissime parole per riprendere fiato e ripartire verso la Gaiola. La Gaiola è un’isola che si trova di fronte Posillipo e che la tradizione vuole piena di scenari oscuri, morti misteriose, leggende maledette.
A questo punto Giovanni deve togliersi di dosso una grande responsabilità: di fronte a noi c’è la Casa degli Spiriti e i più goliardici vogliono passarci dentro in canoa. Io mi butto a mare -penso. Ci sono delle onde grandi, il mio Superman è gasatissimo e vuole entrare poi Giovanni, in uno sprazzo di lucidità che i raggi ultravioletti hanno risparmiato alla sua testa, decide che forse meglio evitare perché si rischia troppo. Evviva, si torna indietro.
Superman mi racconta di un sacco di aneddoti. È esperto di piante infestanti, mi fa vedere teatri abbandonati su cave di tufo ma poi mi riporta la testa giù perché devo stare attenta agli scogli. Intanto la mia soglia di resistenza diminuisce sempre di più: 5/6 remate. Stop. 4/5. Stop. E così meno. È sadico perché ha visto che sto cedendo e proprio adesso mi mette alla prova e mi lascia remare da sola. Due minuti, due e già ci siamo girati nel senso opposto a quello giusto. Ce ne ho messi più o meno il doppio per ritornare nella posizione di partenza.
L’attenzione si sposta su un piccolo imprevisto, togliendomi dall’imbarazzo: una del nostro gruppo è caduta giù dalla canoa e riporta sfregi vari sul corpo. Pochi minuti di panico, lei ha perso occhiali e maglietta ma ha tutta la mia stima perché ha mantenuto la calma. Non posso fare a meno di ripetermi “poteva capitare a te come poteva non capitare a te”(ma io avrei sbarellato di certo, soprattutto per aver perso gli occhiali).
Intanto Giovanni va, non si cura di noi. E noi gli stiamo dietro perché oggi è lui la nostra guida. Ancora qualche remata ed è fatta. Vedo la terra, metto giù i remi. Quasi piango.
Mi sento come quando, giocando a Nomi Cose e Città, ho trovato le parole doppie, i nomi impensabili, dei luoghi che solo io conosco. E allora i punti valgono il doppio. Non è raro che io veda Napoli dal mare, ma domenica è come se me la fossi portata sulle spalle. Cioè, no. Domenica Napoli è come Giovanni Truppi me l’ha messa in testa.
Ho promesso agli altri che avrei allegato questa foto alla fine di questo post. Che poi lascia intuire gli sviluppi della passeggiata. Non è cattiveria, vivibì, è condivisione.
Puoi leggere tutti gli articoli su Giovanni Truppi qui.
La foto iniziale è di Marco Ghidelli.