Quello dei Nova Lumen è un disco in VHS: ha il fascino dell’analogico, la poesia di soffiare e riavvolgere il nastro.
“Assurdo Universo” è figlio degli anni Ottanta, del synth pop imbronciato e della new wave più cupa: drum machine a tutto spiano, tastiere delicate e una buona dose di motivetti elettronici difficili da dimenticare.
Ascoltalo in streaming qui, poi leggi il racconto traccia per traccia.
AMBROSIA
Il sogno più antico dell’umanità è sfuggire al tempo e, come le divinità, sconfiggere la morte. Gli antichi greci immaginavano che proprio gli dèi traessero questo potere da una loro bevanda, l’ambrosia, capace di infondere la facoltà di vivere per sempre.
GIGANTI ROSSE
Giganti Rosse è un brano che parla del momento in cui il Sole, morendo, si espanderà fino a distruggere i pianeti del Sistema Solare più vicini per poi collassare su se stesso e spegnersi per sempre.
Dicono che probabilmente in quei giorni anche la Terra sarà raggiunta dal fuoco della stella. Allora, se ancora vi sarà, l’umanità potrà godere di un ultimo, estremo spettacolo prima di svanire nel nulla, senza lasciare nel cosmo la minima traccia di quel che è stato.
PERSI NEL BUIO
Lo scorrere delle cose e del tempo porta via con sé anche le storie che si sono vissute, le persone incontrate, in qualche modo tutta la propria vita. Si è alla deriva in un fiume in piena che a cui non è possibile sottrarsi, se non a tratti, aggrappandosi ai rami che sporgono dalla riva; rami che di fatto sono ricordi precari, sopravvivono qualche istante e presto vengono trascinati via dalla pioggia.
Abbiate pazienza, il mood del disco è questo.
DAPHNE
Daphne è una delle nostre canzoni preferite. È nata una sera di primavera in una casa di campagna, il che forse ha contribuito alla malinconia del soggetto. Daphne non sa stare al mondo perché non capisce la gente che ride mentre lentamente si consuma nel nulla. Lei ci osserva da una distanza infinita, è per noi come una galassia dal nome cifrato scorta per caso da qualche telescopio disattento. Sicuramente in giro qualcuno come lei si nasconde, ed è forse per persone del genere che abbiamo scritto questo album.
ARTHUR
Ognuno ha punti di riferimento che possono ispirare sicurezza.
La canzone è dedicata ad un nostro amico morto molto tempo fa che sapeva davvero vedere oltre le cose.
ASSURDO UNIVERSO
L’idea del pezzo è quella di un dialogo tra due stelle separate da uno spazio incolmabile. L’idea, forse, era nata da un verso di José Saramago (“Nello spazio profondo, stelle poche”), che in un’espressione brevissima dà vita ad un’immagine vastissima. Astri che bruciano per miliardi di anni in piena solitudine in una dimensione di vuoto completo, senza alcun’altra possibilità, sperduti in angoli cosmici non attraversati da nessuno.
L’ORIZZONTE DEGLI EVENTI
Tra i luoghi più misteriosi dell’universo vi sono i buchi neri, dotati di un campo gravitazionale tale che nulla, nemmeno la luce, può sfuggirvi. Il margine che li delimita è detto “orizzonte degli eventi”: al di là di quel confine si perde ogni contatto con lo spazio conosciuto. Abbiamo immaginato di poter affacciarci sull’orlo dell’abisso più distante che vi sia.
CRETACEO
Se i dinosauri avessero mai potuto pensare a qualcosa si sarebbero certamente sentiti i padroni dell’universo. Per milioni di anni sulla Terra sono state le creature più forti e resistenti tra tutte, disperse ovunque, sul suolo, in cielo e in mare. Milioni d’anni di dinosauri ignari di tutto. Poi, come niente, quegli esseri colossali e violenti sono stati spazzati via da una pioggia assassina precipitata dall’alto ed oggi, di loro, non rimangono che polvere ed ossa, relitti da museo che fanno appena sorridere i bambini.
ANNI SENZA FINE
Nel 1952 Clifford D. Simak pubblicava “City”, che in Italia usciva con il titolo di “Anni senza fine”. È probabilmente uno dei libri di fantascienza più importanti e belli di sempre e non potevamo non dedicarvi una canzone.
“Once there had been joy, but now there was only sadness, and it was not, he knew, alone the sadness of an empty house; it was the sadness of all else, the sadness of the Earth, the sadness of the failures and the empty triumphs.”
― Clifford D. Simak, City
LABENTIA SIGNA I/II
È di fatto un pezzo unico in due parti, che abbiamo separato anche per dare un po’ più di respiro al disco. Labentia signa era l’espressione latina per indicare le stelle cadenti (letteralmente, “segni che scivolano nel cielo”). Trovavamo molto poetica quest’immagine e pensavamo che si addicesse abbastanza allo spirito del pezzo e del disco in generale.
Labentia Signa II, poi, contiene una frase estratta da “La Solitude” di G. de Maupassant che ci sembra riassumere bene tutto ciò che abbiamo cercato di dire nell’album (“Nous sommes plus loin l’un de l’autre que ces astres, plus isolés surtout, parce que la pensée est insondable”). Tra gli uomini ci possono essere distanze incolmabili, veri e propri abissi incolmabili; per quanto ci si sforzi, è impossibile davvero sondare il pensiero altrui e non resta che una distanza irriducibile a separarci, così come capita per le miriadi di stelle nel cielo che inesorabilmente si allontanano per sempre, all’infinito.