Tutti la guardano, la cercano, ne parlano; tutti vogliono Grimes, tutti aspettano Grimes: serve una nuova strega per il falò delle vanità, serve consacrazione e poi disprezzo, serve celebrazione e poi l’abile arte del rinnegare. Rewind per un momento: un anno fa circa, Grimes sorprende tutti dichiarando che del nuovo disco ha fatto spazzatura, perché fuori dai canoni della propria validata bellezza. Verità? Bugia? Diciamo metà e metà, questo perché Grimes è un’ artista valida che conosce molto bene l’arte che tratta, e non abbiamo difficoltà a vederla pignola e intransigente prima di mettere la firma su cose di sua produzione; non facciamo nemmeno fatica a pensare che fosse tutta una mossa studiata, una furbata pensata e geniale per creare un buon hype da coltivare con cura per qualche mese. La canadese va a nozze con queste innocenti evasioni, in un gioco di contraddizioni tra il serio e il faceto. Punk o neo punk per tutti, tranne che per se stessa e per qualche vecchio crestone che, dopo la truffa dei Pistols, ha deciso di non farsi fregare ulteriormente e ancora professa la propria fede in una sgualcita maglia Vivienne Westwood, sostituita a volte con una t shirt sbiadita dei fratelli Ramones. Gli altri, quelli che di questi tempi si sentono indipendenti e trasgressivi, ci sono cascati dentro con entrambi i piedi, assoggettati al diktat “quanto è di moda essere ribelli e anti conformisti, quanto è cool essere contro e alternativi”, leggendo di nascosto Vogue. Niente di male, si è solo vittime di una splendida truffa che ciclicamente si ripete. Nei brutti e sporchi 70’s l’Europa impazziva per Vicious e Rotten: brutti sporchi e cattivi ma vestiti alla moda, inseriti nel giro che conta, nella droga che conta, sulla bocca di tutti (sia di quelli che cercavano davvero di dare un senso all’idea del “ribellarsi è giusto” sia ai ben pensanti da salotto che con questa gente ci marchettava e banchettava). I Pistols erano sicuramente dei drogati rottinculo ma, credetemi, stupidi no, e la storia l’ha dimostrato. Ecco: Grimes è esattamente la stessa cosa e questa storia la conosce bene. Grimes è tutto e il contratto di tutto, copertina tra il surf e il punk fuori, voce angelica e ritmo semplice dentro, linearità e una speculazione che non è succo ma guscio. Capelli colorati, ceretta mai nemmeno presa in considerazione, quel finto menefreghismo per cui l’esistenza fa schifo così come l’amore e il sesso: fa tutto schifo perché troppo ordinato e trova la sua deriva nel chiaro opposto andando poi in tour con miss botulino Lana del Rey. Grimes è regina di questo gioco, lo fa dal primo disco, di più nel secondo, la solfa non cambia nel terzo né in questo nuovo lavoro. Vista così si potrebbe scappare a gambe levate da questa ragazzetta che al Primavera organizzava finte invasioni di palco, bambolina mal curata che non muove un passo senza la sua tracotante assistente baby sitter. Invece no, si può rimanere e uscirne anche affascinati.
Art Angels non è altro che un grande, grandissimo bluff, ben sintetizzato dal ritornello di Realiti (qui in una versione manga che farà impazzire una volta di più i giappo), che restituisce una Grimes a cavallo di un unicorno mentre trotta leggiadra tra la Gwen Stefani solista del bellissimo Love, Angels, Music, Baby, da cui è riduttivo dire che pesca a piene mani, e una Britney in grandissima forma. Poca ribellione, bello l’unico pezzo con cui fa quello che ci si aspetta da lei ( Scream ) e tanto easy pop. Tra arrangiamenti country (California) e ballad innoque (Easili), scale armoniche di grande semplicità (Pin), un abuso di chitarrine e controtempo ritmico pieno di battimani e una produzione non più lo fi ma curatissima, Claire Boucher sguazza un po’ harajuku girl un po’ ragazzina da convegno di Comunione e Liberazione mettendoci tanto tantissimo. La voce e l’interpretazione di tutti i pezzi è sicura, formata e mai incerta.
Qui si svela il trucco e si scopre il bluff, perché per quanto descritto sopra e già affermato, gira tutto al contrario di tutto: l’album ha una presa irresistibile, si memorizza in un secondo, si canta, si fischietta con punte di vero godimento. World Princess pt. II è indimenticabile, anche se ha un carico quasi Edm (solo il load poi spezza); stessa cosa con Venus fly e con Butterfly (altro singolone convincente) . Lo stile c’è, è innegabile, solo per assurdo sembra un lavoro fatto per il lol, invece è una droga che inizialmente non da grandi effetti su menti spiazzate, ma col tempo da assuefazione: passano le ore e ci si accorge che con un po’ di vergogna e di nascosto ci si ritrova a un ascolto continuo e ripetuto. Art Angels è una barzelletta raccontata da una ragazza con i capelli mal tinti, antipatica fino al limite della sopportazione, ma con cui andresti oltre il flirt seduta stante se solo lei ci stesse. Quest’ultimo lavoro è una di quelle storielle ascoltate con circospezione iniziale prima di scoppiare in una risata fragorosa, rimanendo con quel sorriso un po’ ebete che è il vero bersaglio di un’artista profonda conoscitrice del suo pubblico, che sa perfettamente come provocare sfottere e rendere schiavo. Arte zero, angeli zero, stile discutibile, ma a ragione o torto se siamo qui a parlarne c’è molto altro. Bene: si sfonda soprattutto con quello.