Conoscevo un ragazzo che per fare colpo sulle tipe faceva sempre ascoltare le canzoni di Gemello: era una sorta di rituale, un modo per capire se il piglio potesse essere quello giusto; purtroppo l’unica volta in cui questa strategia ebbe gli effetti desiderati si venne a capire che forse era meglio che tutto ciò non fosse mai accaduto. Questo perché ascoltare Gemello comporta un’immersione totale, come se si venisse rapiti per qualche minuto e stonati a forza di immagini che si incuneano una dentro l’altra regalandoci un quadro a cui manca soltanto la cornice, quella che spetta inserire all’ascoltatore che, per forza di cose, rimane sempre colpito. Gemello in questo senso è un capitolo a parte nel rap italiano: ogni suo pezzo è cristallizzato in uno spazio intoccabile e spesso inarrivabile ed allo stesso modo ogni parola all’interno dei suoi pezzi assume una valenza faraonica ed ogni idea ed immagini diventano una copertina fantastica ma soltanto per un millesimo di secondo, prima che lui torni a stonarti e sorprenderti con la sua fantasia incommensurabile ma messa al servizio di una causa che ritorna anche troppo spesso: l’amore. Da “Non parlarmi d’altro” fino a “Indiana“, quando si ascolta una traccia di Gemello è impossibile rimanere impassibili ed è necessario procedere per impressioni per poi mettere insieme tutti i piccoli tasselli e venire a capo di un puzzle intricato, a volte difficile da decifrare ma senza alcun dubbio suggestivo.
Non è un caso che egli sia quasi più famoso per i suoi quadri piuttosto che per le sue canzoni: ai binari su cui viaggia la sua arte piace incrociarsi e mischiarsi dove ogni colore richiama un verso ed ogni verso richiama un colore che l’ascoltatore può scegliere di volta in volta per lasciarsi stupire ogni volta in modo diverso. Al di là di questo, c’è una questione più ampia da affrontare: Gemello è un artista che non scende a compromessi e il suo stile è rimasto totalmente coerente ed immutato tanto che non ci sarebbe modo di distinguere una traccia di Niagara da una di Indiana. Questa caratteristica è un’arma a doppio taglio che nel giudizio non ammette alcuna via di mezzo: se da un lato si può ammirare la ricerca stilistica di Gemello da un altro si può rimproverare aspramente un tono monotono che si incastra sempre in una tematica del lui-cerca-lei o peggio ancora lei-è-bella-quando-fa-cose che, come detto, può suscitare ammirazione o noia, ma difficilmente una via di mezzo, tutto ciò senza però mai mettere in dubbio la cura riposta in ogni traccia.
Da un’altra parte poi viene da pensare che Gemello è lo stesso che smucinava lo stramonio dentro al tritaerba ed in un attimo tutto cambia: Gmellow non appare più come l’artista complesso ed elaborato che dipinge affreschi ma diventa una figura più umana, fin troppo umana. È la natura bivalente che ha attraversato la sua carriera musicale. Oggi Gemello è un artista i cui ascoltatori assidui sanno un po’ meglio cosa aspettarsi e questo è il difetto più grande di Indiana: l’assenza di significative novità sia dal punto di vista lirico che da quello più strettamente musicale ed è per questo che polarizza l’opinione di chi ascolta. Indiana è il fratello di Niagara: non pretende di evolversi né di prendere le distanze né tanto meno di stupire eccessivamente e quanto questo sia un difetto è molto complesso da capire, tuttavia una certezza rimane fissa: ogni prodotto di Andrea Ambrogio conserva una cura ed un’attenzione ai dettagli che non lasceranno mai indifferenti; ecco perché quel ragazzo, che sono io, sceglieva sempre Gemello.