Quando con le prime luci del mattino di domenica 2 giugno siamo scesi dall’enorme giostra del Primavera Sound ci sentivamo come se fossimo stati presi a sberle tutto il tempo.
Quest’edizione, molto più delle altre cui siamo stati presenti, ci ha messo parecchio in disordine le sinapsi e i sentimenti, un po’ per l’eterogeneità della proposta del New Normal che ha voluto in line-up anche nomi da noi lontanissimi come Carly Rae Jepsen o Miley Cyrus, un po’ perché da più parti si è sentito forte un messaggio di inclusione e tolleranza in rottura rispetto a tutto quanto sta succedendo in politica negli ultimi tempi.
Non parleremo qui di questo ultimo aspetto ma ripercorreremo con voi i momenti migliori (per lo più musicali) della diciannovesima edizione di un festival che, almeno in Europa, non ha eguali.
Testo di Valentina Ziliani e Claudia Maddaluno
Miglior gruppo
Big Thief, o semplicemente: la miglior band indie-rock al momento. Salgono sul palco con lo spirito di chi non deve e non vuole dimostrare niente a nessuno, suonano come se stessero jammando, suonano perché è l’unica cosa che per loro ha senso fare. Fanno canzoni che non hanno mai pubblicato ma che continuano a suonare dal vivo (Not e Shoulders) e che i fan conoscono a menadito come piccole grandi leggende tramandate; c’è spazio pure per una ballad scritta e cantata da Buck Meek, il chitarrista che ogni tanto armonizza sulla voce di Adrianne Lenker. Poi c’è Mary, la cantano tutti e quattro mentre ti porgono il loro cuore su un vassoio. Capolavori di libertà.
Miglior pubblico
Se pensi che startene seduto al Ray-ban ti garantisca, oltre che un meritato riposo, anche una visibilità onesta e lontana dal trambusto delle prime file, ricordati che quelle scale possono essere un inferno: passerella di fashion blogger tempestate di brillantini, di gente che ti sale e scende sui piedi come se fossi una scala mobile e che si alza all’improvviso per ballare sul gradino avanti al tuo, escludendoti per sempre la visuale. Se vuoi fare un pisolino, molto meglio l’Auditori, sient a me.
Migliore performance
Chi ha occhi per vedere e orecchie per ascoltare non può non essere d’accordo sul fatto che quella di FKA twigs al Ray-ban non è stata semplicemente una performance musicale ma una performance d’arte a 360°. L’esibizione ci catapulta in una dimensione celestiale, complice un set scenografico che riproduce su diversi pannelli verticali un cielo azzurro attraversato da qualche incerta nuvola bianca. Lei, metà donna metà dea, sale sul palco con un enorme copricapo di stracci e piume bianche, con un’andatura solenne e la consapevolezza di chi sta per compiere un enorme e atteso miracolo: la bellezza è così totale e sfacciata da svelarsi anche al pubblico più stolto e indisciplinato, costretto a un’ammirazione silenziosa e a godersi uno spettacolo altissimo.
Si parte dai brani di LP1 ma il nostro viaggio sovradimensionale continua coi brani più recenti, fino ad arrivare all’ultima Cellophane in una escalation di momenti magici (il ballo con la spada, la straordinaria pole-dance di Lights On) che ci lasciano letteralmente senza fiato.
Migliore messaggio
Qui è una bella gara tra Solange e Janelle Monáe. La prima fa una confessione a cuore aperto (di quasi 5 minuti!) sulla sua rinascita e su come, ricordando un Jesus Camp quand’era bambina in cui aveva paurissima di una suora, è finalmente venuta a patti con la sua spiritualità dopo un periodo buio.
Janelle, invece, declama quasi un manifesto programmatico: figlia di una bidella e di un netturbino, è nata educata all’amore e all’amore dedica la sua carriera. L’amore per ogni genere umano, per le donne black e queer come lei, per i suoi dirty computers, per gli emarginati, i negletti, gli ultimi della lista. GO SIS!
Miglior momento catartico
L’imposizione delle mani di Erykah Badu alla folla alle 2 di notte. “Can you feel the energy?”. Oltre 100.000 persone hanno imposto le mani quasi come a formare una sfera energetica di Goku. Davvero, chi può contraddire una sciamana?
Miglior scemo di sempre
Come la scorsa esibizione al Primavera Sound del 2017 (ma senza stage diving e senza nudismi), Mac DeMarco ci ha regalato delle grandissime emozioni (a partire da quel meraviglioso cappellino della Nintendo). Con una bottiglia di vino sull’amplificatore e una sigaretta ogni due per tre tra le dita, ha cosparso sulle nostre teste un’atmosfera rilassatissima e dopante che ci porteremo dietro per sempre. Lui è uno scemo ma è il miglior scemo di sempre. Cantare con lui al tramonto My Kind Of Woman (1:08:00), mentre una marea di lucine fluttuavano in aria, ci ha fatto esplodere il cuore.
Migliori peggior denti
Miley Cyrus con le nuove capsule dentali che la fanno diventare Ivana Spagna.
Migliore visual
Il visual dietro la band di Boy Pablo sembra fatto con paint: una bandiera con colori fluo e le facce dei componenti del gruppo scontornate come alla prima lezione di Photoshop e appiccicate sopra. Non potrebbe esserci cosa più deliziosa e naif per accompagnare 6 ragazzetti che sembrano usciti da una puntata di Malcolm in the Middle e che fanno musica che sa di caramelle frizzantine e birrette analcoliche.
Migliori scoperte
Alice Phoebe Lou, interprete di un jazz-pop alla Julia Holter senza il cosmicismo di Julia Holter ma con sentori di bossa-nova. Come Stella Donnelly, una giovanissima che diventerà enorme.
Celeste. Una grazia e un’eleganza incredibili. Pare di stare in un jazz club degli anni ’30, se non fosse per quel gruppo di inglesi in prima fila che importunano il suo sassofonista (notevole, siamo d’accordo) con molteplici proposte di matrimonio scritte sul display del loro smartphone.
Miglior sbadiglio
Tame Impala. Lo stesso concerto di tre anni fa con la stessa identica lena con gli stessi suoni e la stessa intenzione dei dischi in studio. A’ Kevin, ma che noia.
Migliori momenti tamarri ma con classe
Nas (che concerto, ragazzi!) che fa partire un sample di Beethoven con la frase “Some classical music for you classical people”. Una formula che prenderò a prestito, da usare in ogni momento di vita.
Delicatissima Kali Uchis, sembra uscita dai Quartieri Spagnoli per quanto è truccata a caso però la sua voce è molto raffinata e ci incanta tutti con la cover di Creep dei Radiohead.
Miglior momento ballerino
Nathy Peluso, la assessina del mambo y de la salsa che, a parte questo aspetto latino molto zarro, ha anche un flow pazzesco. La amiamo.
Miglior pianto
Prendiamo in prestito una citazione di Gigi D’Alessio per tutti quelli che che-noia-James-Blake. Ecco, a voi tutti chiediamo “ma che tenete nel sangue? la Gassosa?”
Il primo momento emozionante e assurdo di cui Blake ci omaggia è quello in cui sale sul palco durante il set di ROSALÍA e insieme cantano Barefoot In The Park: tutte le luci sono spente e c’è solo una cascata di lucciole ad accompagnare l’intro profondissimo di Blake (forse questo è uno dei momenti più sinceri di tutto lo show di ROSALÍA, costellato di hit, coreografie studiatissime, spagnoli in visibilio e clapping continui).
Ma il miglior pianto, quello liberatorio, ci inonda il viso quando ormai sono quasi le 2 e al Seat inizia il set di Blake che seduto al piano ci scioglie tutto il sangue che abbiamo nel corpo iniziando con Life Round Here, poi accoltellandoci con Limit To Your Love e Overgrown e finendoci senza pietà con Don’t Miss It.
Non abbiamo più le forze per affrontare un altro live. Siamo ormai svuotati e pieni allo stesso tempo, e decidiamo che quello di Blake è il modo migliore per dire addio anche a questo Primavera Sound.