Per Venna, sassofonista e producer londinese legato ai nomi di Yussef Dayes, Beyoncé e Burna Boy, il jazz è una sorta di missione.
Al suo primo album di debutto “MALIK”, uscito il 5 settembre per Cashmere Thoughts, l’artista ricompone il puzzle di tutto ciò che ha ascoltato, imparato e visto in questi ultimi anni di collaborazioni e tour in giro per il mondo: la sua è una visione lucida di come il jazz vada rimaneggiato e scomposto affinché possa continuare ad evolversi, oltre la lectio.
In un’intervista rilasciata a NME in occasione dell’uscita del disco ha detto: “while this album is a child of jazz, the child is always gonna be further and further outstretched from the root.”. Le radici sono quelle che ci generano e ci nutrono, ma la crescita è verticale e si allontana da quel sostentamento, pur senza staccarsi mai.
Allo stesso modo “MALIK” porta il jazz oltre l'”ostacolo” del suo cordone, mischiandolo con il soul, l’RnB, il folk e tutto ciò che l’immaginazione gli abbia suggerito durante il processo creativo del disco. Questo in nome di una missione di cui Venna dice di sentirsi investito, e cioè quella di donare all’ascoltatore qualcosa di nuovo e al jazz la possibilità di evolversi costantemente.
“When making MALIK my constant thought process was how can I devise a body of work that embodies all of the sounds, palettes and rhythms I love + also introduce the listener to a sound they may have not encountered.
The rhythm & sounds of the world inspired this album & that’s what I collected & nurtured into MALIK.”
La tavolozza dell’album è corale: dentro ci troviamo Jorja Smith, Smino, Leon Thomas, CARI, Marco Bernardis e MIKE, e lo stesso Yussef Dayes, tutti guidati dall’orecchio curatoriale di Venna.
Il colore del suo sassofono è un pantone ormai codificato e dentro “MALIK” si affaccia quasi timidamente, spiazzando chi in quest’album si sarebbe aspettato digressioni virtuosistiche e l’ostentazione di chi, da sempre dietro le quinte, avrebbe avuto finalmente l’occasione di mettere in mostra tutte le sue capacità.
E invece a Venna non serve strafare per farci capire che il nu jazz è anche nelle sue mani. Che la sua evoluzione passa dalle sue mani.
