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4 album per capire il white privilege

Gil Scott-Heron – Pieces Of A Man

Gil Scott-Heron è considerato il padre di molti generi. È il primo volto che viene in mente pensando allo spoken word (la poesia su base musicale), dunque alla nascita del rap; il soul assunse con lui una nuova profondità, sfondando i confini delicati dei temi sociali. Lui stesso rifiutava queste medaglie, definendosi un poeta ma soprattutto un pensatore che raccontava l’esperienza di un uomo nero in America. Nel bene e nel male, Pieces Of A Man fu l’apice di questa esperienza.
L’album, pubblicato nel 1971, descrive l’afroamericano come una figura frammentata: un tempo soggiogato, poi segregato, e infine oppresso silenziosamente ogni giorno con micro-aggressioni e trappole strutturali. Il disco inizia con The Revolution Will Not Be Televised, una poesia nervosa che non stonerebbe ad una serata open mic a Brooklyn nel 2020. La rivoluzione sarà taciuta dalla televisione -almeno nei suoi lati più positivi- e restare a guardare non serve a nulla: due sentenze che, se rilette a cinquant’anni di distanza, amplificano alla perfezione gli ideali di Black Lives Matter e alleati. Canzoni come Save The Children suonavano allarmanti al tempo, e risuonano profetiche oggi. Sicuramente, un rivoluzionario come Gil Scott-Heron avrebbe voluto dare ancora di più alla causa. In questo progetto emerge la sua voglia di reagire, sempre annodata alla grande fragilità che lo seguirà per il resto della sua vita. Se il tempo fosse stato più clemente, il bluesologist sarebbe in prima fila alle proteste. E il suo cartello probabilmente reciterebbe qualcosa di simile alle ultime parole pronunciate nell’album: “Yeah, I’m the prisoner”.