Ce la sta mettendo tutta l’hip hop per arrivare ad acquistare lo status di ridefinito e istruito movimento per colletti bianchi con sneakers al piede. Sforzi apprezzabili e talvolta validi, le maggiori fatiche sono portate avanti dai veterani delle scene, come se d’improvviso fossero stati illuminati da un segno e avessero capito che questa sia l’unica strada per cercare di fare ancora un po’ di brodo. Nel particolare, è l’arte a ricevere gli insistenti corteggiamenti di rapper con carriere costruite sulla base di un totale disinteressamento per ogni sorta d’aspetto intellettuale della vita, a favore di una scelta etica dedicata agli affari riguardanti pene e portafogli. Non che ora ci troviamo nel corso di una definitiva inversione di marcia, l’obiettivo è, si, assicurarsi il favore dell’arte, ma giusto per poter poi gonfiare maggiormente pene e portafogli. Una sensibilità un po’ arrangiata al momento e naturalmente supportata da art dealer dalle mani arrossate per il continuo sfregamento al solo pensiero di poter sperperare i soldoni dei rapper più ricchi del mondo, ma anche un bisogno che supera il mero collezionismo e richiede di partecipare in toto alle attività artistiche più innovative e audaci del momento. Un decisivo passo in avanti è stato affrontato da Jay-Z nei giorni scorsi, mettendo in scena una performance d’arte in piena regola con la personalità più emblematica dell’arte performativa, Marina Abramovic. Non che quest’ultima fosse poi ‘sto grande macigno da smuovere, dopo una carriera trascorsa a mettere in pericolo la propria incolumità per il bene della ricerca artistica personale, la Abramovic ha ormai da tempo abbandonato coltelli, scorpioni e tutte quelle strane idee sull’utilizzo del corpo come campo d’esperimento, concedendosi ad una vita meno pericolosa e più mondana. Lungo una performance di sei ore, Jay-Z e Marina hanno duettato in un gioco faccia a faccia in cui lui ha rappato per tutto il tempo i versi di Picasso Baby, brano estratto dal nuovo album Magna Carta Holy Gray, mentre lei gli girava intorno con fare inquietante e senza aprir bocca, ma solo lasciando trasparire un sorriso immobile probabilmente provocato dal senso d’imbarazzo che ha pervaso anche lei stessa. Non è affatto un caso che proprio Picasso Baby sia stato scelto per l’occasione, essendo il brano costruito su decine di riferimenti all’arte, a partire dal titolo naturalmente, che rimanda alla voglia di Jay di possedere un quadro del maestro cubista. Si sprecano tra le liriche del pezzo le associazioni audacemente imbarazzanti ([Francis] Bacons and turkey bacons, smell the aroma) impastate nel beat metallico e industriale creato da Timbaland. Mentre acquistare un picasso pare essere il desiderio più impellente, l’autodichiararsi nuovo Basquiat a suo dire è cosa facile da comprendere (It ain’t hard to tell I’m the new Jean Michel [Basquiat]), il beneficio del dubbio ce lo riserviamo da noi. Di certo cosa accomuna i due sono i risultati economici ottenuti quest’anno, mentre infatti lo scomparso Basquiat viene battuto all’asta per 48 milioni di dollari, Jay dà un nuovo senso al disco di platino, riuscendo a portarsi il riconoscimento a casa ancor prima che il disco fosse fisicamente distribuito. L’atmosfera da circolo del libro per analfabeti che avvolge le liriche contenute all’interno dell’album, ci stimolano a tentare di completare l’opera abbozzata da Mr.Carter. Probabilmente infatti, Magna Carta Holy Gray è potenzialmente un vero dizionario che traduce la storia del linguaggio figurativo artistico nella contemporanea lingua del rapper medio americano, sgrammaticato, inconcludente ma terribilmente pragmatico. Ascoltando i versi di Jay, con facilità ricorrono alla mente momenti salienti della storia dell’arte, come se in realtà le vicende narrate non appartenessero alla realtà di Shawn Carter, ma a quella dipinda nei secoli dai più svariati artisti. A far da basamento a questa nobile intenzione di riportare in vita realtà solo dipinte, ci sono naturalmente tutti i cliché appartenenti al rapper veterano schifosamente ricco, popolarità, ricchezza, donne, discriminazione e insoddisfazione paranoica. Tra questi, la morbosa relazione con la notorietà apre il campo di discussione che è l’album, con la traccia Holy Gray, in cui un intenso pianoforte accompagna la penetrante interpretazione di Justin Timberlake nei panni della star rapita dalla volubilità della fama, prima di lasciare che Jay faccia il suo ingresso su di un beat costruito da schizofreniche drum timbalandiane.
Jean Leon Gerome, Frine davanti all’Aereopago X Holy Gray
Willem Van Haecht, Art cabinet X Picasso Baby
Tom Ford è una dichiarazione di status in pompa magna. Timbaland propone un beat incisivo, rullante ed inedito, arricchito da elementi 8-bit ripescati da vecchie produzioni targate 2007, sul quale Jay intavola una serie di periodi sconnessi riguardanti la maturità acquisita nel godersi i propri soldi, il che significa saperli spendere in gran quantità per far gran scena.
Otto Dix, Metropolis X Tom Ford
Sottotono e quasi affanato per un’ipotetica cena abbondante consumata in qualche ristorante italiano, Rick Ross apre la traccia Fuckwithmeyouknowigotit, in cui una cascata di luoghi comuni circa il ricco turista in vacanza in italia viene liberata su di un beat cupo prodotto da Boi-1da.
Pietro Luigi Morando, Natura morta con melanzane X Fuckwithmeyouknowigotit
Torna il riferimento a Basquiat nel chorus della traccia Oceans, magistralmente intonato da Frank Ocean. Immenso il valore apportato dall’artista che carica di tensione magnetica le liriche riguardanti questioni razziali ancora irrisolte e scottanti, con l’aiuto di un coro irreale steso tra la sua voce e i fiati utilizzati da Pharrell Williams, particolarmente ispirato nel produrre un componimento totalmente al di fuori dei soliti binari percorsi.
Joseph Turner, The slaves ship X Ocean
F.U.T.W. è un brano che richiama lo stile “godfather” proprio di Jay, ma mancante dell’autorevole smalto da newyork-gangsta. Nonostante ciò riesce comunque ad essere monotono in fatto di liriche come solo un brano di Jay sulla sua aurea da padrino può essere, facendo leva sui soliti sfoggi di potenza tramite possedimenti.
Hans Holbein, Portrait of Sir William Butts X F.U.T.W.
Probabilmente avanzo della sessione studio per la OST de Il Grande Gatsby, o un semplice eco della stessa, Somewhereinamerica sfoggia un tappeto di fiati che rimanda al mood dozzinale e posticcio già propinato per la soundtrack del film, della quale Jay è produttore esecutivo. Le questioni raziale all’interno delle liriche cambiano prospettiva, e si rivolgono a tutti quei bianchi che vogliono abbracciare la cultura afro fino a fingere di esserne parte, da qui il verso virale “Miley Cyrus is still twerkin’”.
Theodor Tolby, The Circumcision X Somewhereinamerica
Crown attira l’attenzione per essere stata prodotta a sei mani da Travis Scott, Mike Dean e WundaGirl, una ragazzina canadese di 16 anni dai precedenti sconociuti. Synth e drum elettroniche costruiscono un’atmosfera che con facilità riprende materiale da My Beautiful Dark Twisted Fantasy, mescolando cupi effetti sintetici con una voce al vocoder che ricorda quella di Justin Vernon alla corte di Kanye.
E proprio come Kanye, Jay non vuole farsi mancare nessun tipo di paragone blasfemo nel brano Heaven, paragonandosi prima ad un dio, poi a Cristo e poi ad un profeta. Il tutto su di un beat petulante che ospita la voce di Justin Timberlake, trattata al vocoder per apparire artefatta e metallica, irreale.
William Adolphe Bouguereau, Ninfe e Pan X Crown
Rudolph Ernst, Preparing the Hookah X Heaven
Introdotta dall’interlude Versus, Part II (On the Run) è di certo la traccia più valida dell’intero disco. La voce di Beyoncé emerge da un breve intro che come spuma marina trasporta Mrs Carter su di una produzione che è un’oasi lungo l’ascolto dell’album, sabbia finissima e argentea. Una midtempo sospesa tra synth 80’s, melodie 90’s e appeal contemporaneo, nata per essere sequel di Bonnie & Clyde ’03, ma che in realtà pare una versione ridefinita di Beach Chair, prototipo complicato, sottovalutato perché mal contestualizzato all’interno del disco Kingdom Come.
Beach Is Better è il secondo interlude che in meno di un minuto esplode in quel gusto dirty-south-ish che è cifra stilistica delle produzioni di Mike Will Made It.
Tamara de Lampicka, Autoportrait X Versus
Caravaggio, Giuditta e Oloferne X Part II (On The Run)
Diego Velasquez, Venere allo Specchio X Beach Is Better
Talvolta Pharrell è tanto genio quanto copycat di se stesso, in quei contesti in cui sceglie di riutilizzare precedenti carte vincenti per poter facilmente assestare nuovi goal. BBC pare così tornita su modello del precedente successo Blurred Lines, prodotto per Thicke, col quale condivide elementi facilmente riconoscibili e potenziati nella speranza di risultare anche più convincenti. Un sovraccarico che investe anche la lista dei guest, montata come per uno show memorabile, ma sviluppata in un disordine che finisce col relegare alcuni degli ospiti tra i background vocal o tra inutili e brevi interventi di difficile identificazione. Ancora un vano e superficiale sfoggio di potere e abilità che termina con l’essere un totale spreco di potenze.
Jan Vermeer, Donna con Brocca X BBC
Il tema della paternità sarebbe potuto essere argomento trainante per l’intero album, ma mr.Carter ha riservato un posto delimitato per raccontare della sua esperienza come neo padre all’interno del brano Jay-Z Blue. Su sample di Notorius B.I.G., le liriche attraversano momenti di tenerezza, spesso con il tatto di un bracciante, ma talvolta con la vulnerabilità di chi spera per se stesso di poter affrontare al meglio una nuova situazione nonostante i visibili ostacoli. Il tema della famiglia perde poi l’originale purezza con la traccia La Familia, in cui, su di un ipnotico hi-hat in loop, lo sguardo protettivo di Jay si allarga verso i componenti della sua crew e torna in ballo l’importanza del denaro guadagnato, dello status, in un contrasto che quasi sa di blasfemia.
Nella traccia conclusiva, Nickels and Dimes, che utilizza sample del trippy musicista Gonjasufi, Shawn ci tiene a lasciare un insegnamento per coloro che del denaro fanno cattivo utilizzo, ribadendo che nessuno sa quanto abbia fatto del bene con i propri soldi (The greatest form of giving is anonymous to anonymous / So here y’all go, I promise this).
Andrea del Sarto, Sacrificio di Isacco X Jay-Z Blue
Pieter Paul Rubens, Ratto di Proserpina X La Familia
Nicolas Regnier, La Carità Romana X Nickels and Dimes
Oltre tutti gli stereotipi e i luoghi comuni affrontati, Magna Carta Holy Gray è un disco che segna un nuovo traguardo nella scalata dell’hip hop verso la conquista di credibilità nei confronti dell’arte. Ma forse non è tutto merito degli sforzi condotti dai rapper. Ammettendo che l’arte è spesso condotta da persone che di certo cenano negli stessi ristoranti in cui cena Jay-Z, acquistano immobili negli stessi quartieri in cui li acquista Jay-Z, e sfoggiando completi Tom Ford proprio come Jay-Z, forse è facile immaginare che in realtà sia l’arte a piegarsi con facilità ad accogliere gli sforzi condotti dai rapper, e magari incitare l’incontro, perché in fondo qualcuno che continui a pagare un Basquiat 48 milioni di euro, magari con speranze di miglioramento, deve sempre esserci.