Se vi dicessi che “The cultural side of trash” era, in realtà, il titolo dell’album passato alla storia della musica come “The dark side of the moon”, qualcuno ci crederebbe? Ovviamente, la risposta è no. Appurato quindi le capacità di discernimento di noi tutti, scrivo a “mente aperta” una mia personale riflessione, ispiratami, tra l’altro, dalla lettura del post in cui, su queste pagine virtuali, si indicava il motivo per cui i testi del rapper romano Noyz Narcos andrebbero fatti studiare ai ragazzi delle medie. Sicuramente provocatorio. Ma, non tutte le provocazioni vengono per nuocere. Alcune mirano a smuovere flussi di idee e pensieri che possono generare conclusioni interessanti. Ed è quello che spero di ottenere con la mia riflessione.
Troppo spesso si affibbia l’immeritata etichetta “trash” a molti testi musicali, specie a quelli appartenenti alla sfera del rap, dimenticandosi della potenzialità espressionistica che offre una lingua come quella italiana. Nell’era del dominio assoluto della tecnologia si assiste ad un fenomeno che, sotto certi versi, era inevitabile: lo snellimento del linguaggio. I concetti sono chiari, diretti, a tratti lapidari. Perifrasi, connettivi, ipotassi, paratassi messi un po’ al bando, in nome di una comunicazione più veloce e “pragmatica”; valore aggiunto di quest’italiano, ribattezzato nel segno della tecnologia, è, dunque, la sua capacità di comunicare, con forza e vivacità linguistica, concetti estremamente realistici che, invece, una secolare tradizione poetico – letteraria poneva sul piano dell’idealizzazione: insomma prima la forma modellava il contenuto; oggi il contenuto modella la forma.
I testi di molti rappers forniscono un lampante esempio di questo cambiamento della nostra lingua, dal piano formale al piano contenutistico, cambiamento che ha portato a compimento un processo evolutivo inarrestabile: l’italiano di oggi non sarà quello scritto da Dante, ma la sua poeticità è fuori discussione. Inoltre i vari rappers non rinunciano all’utilizzo di molti artifici retorici, veri e propri must della tradizione poetica italiana fino a Carducci, che conferiscono una sorta di musicalità interna ai loro brani. Dunque tengono bene a mente la lezione degli antiqui patres e la modellano al contesto linguistico moderno: sono tra i principali fautori di questa renovatio linguae.
A riprova di quanto detto si riporta l’accattivante ritornello della canzone “Bocciofili” di Dargen D’Amico ft. Fedez e Mistico:
[quote style=”2″][Mistico_RIT]:
Mettimi questi meloni in mano fai come l’ortolano
che non ne posso più di andare piano
esci quelle bocce che le voglio cospargere con l’olio
ho voglia di svuotarmi il portafoglio.[/quote]
Allitterazioni, rima baciata e assonanza tra le figure retoriche nel solo ritornello e l’utilizzo di metafore inerenti, la prima, all’ambito dell’ortofrutta (meloni) e, la seconda, all’ambito dello sport (bocce) per designare una parte del corpo femminile, entrambe molto vicine alle forme del parlato giovanile. Il significato è chiarissimo: una romantica dedica alla donna corteggiata, della quale viene esaltata, in particolare, la zona anatomica posta tra collo e torace, che rimembra all’autore, frutti succosi ed estivi, i meloni, e quindi per traslato l’estate, ma per le sue rotondità perfette anche uno sport che si è soliti praticare in spiaggia nei pomeriggi estivi: quello delle bocce; l’autore non esita a rimarcare le sue velleità di manutenzione (cospargendo olio) e la sua volontà di un incontro ravvicinato con questa eccitante parte del corpo femminile per godere delle gioie e della potenza vivificatrice della passione amorosa. Concetti filtrati in chiave meramente realistica. Ovviamente le scelte lessicali risultano influenzate molto dalla tematica che si sceglie di affrontare in un brano. Non solo amore. Infatti dalla tematica amorosa alla tematica sociale il passo è breve; si ripropone una strofa della canzone della rapper pugliese Manga Nairo “Ci sei o ci fai”, in cui è affrontato con piglio deciso il fastidioso topos meridionale dei rumores di paese:
[quote style=”2″]La gente parla,
tu non ascoltarla
ogni storia è ingigantita per raccontarla.
Il paese è piccolo, la gente mormora
Sei accusato ingiustamente come Enzo Tortora.
Tempo scaduto clic clac
Rimani muto tic tac
Nella tua testa soltanto […]
Ne ho sentite così tante di storie su di me
Ma quando punti il dito, tre dita puntano te.[/quote]
Ad un ascoltatore poco attento, il testo può sembrare banale, ma in realtà ad una più profonda lettura esso risulta intriso di rimandi di un certo spessore: si possono ravvisare echi catulliani ([…] rumoresque senum severiorum omnes unius aestimemus assis! Carme V) e riferimenti all’infelice storia giudiziaria del noto conduttore Enzo Tortora, accusato sulla base di dichiarazioni di testimoni inattendibili e risultato alla prova dei fatti “colpevole di innocenza” ; inoltre la chiusura della strofa sembra la riproposizione moderna e giovanile dell’evangelico “Chi è senza peccato scagli per primo la pietra”. Tanta roba.
Concluderei con la recentissima collaborazione tra Achille Lauro e Marracash, “Real royal street rap”. Partirei dall’analisi del nome del primo dei due, che appare davvero evocativo: Lauro richiama immediatamente Petrarca ed il suo Canzoniere, pieno di riferimenti a Laura il cui nome, appunto, rimanda al lauro, alla pianta di alloro che assurge a simbolo per eccellenza della poesia. Achille rimanda al Pelide, l’eroe omerico per eccellenza, il più forte dei guerrieri greci, in cui l’ira, che infiniti addusse lutti agli Achei, è seconda solo alla forza. Se, come recita un famoso detto latino, nomen omen, con Achille Lauro abbiamo una felice unione di rabbia e poesia. Ma ora veniamo propriamente al testo, che strutturalmente si presenta come una riproposizione, in chiave moderna, del canto amebeo, di memoria classica, e reso celebre dall’opera di Virgilio, Le Bucoliche, in cui i personaggi, due pastori, Titiro e Melibeo si rispondevano a vicenda; dunque un canto a due voci, un botta e risposta fra due interlocutori: Achille Lauro e Marracash come dei Titiro e Melibeo post litteram. La tematica, certo, non è più quella delle guerre civili che dilaniavano Roma a quei tempi, ma storie di vita vissuta (la fama costa e vengo da Famagosta/cresciuto qua posti popolari/ciccione con poster di Grignani/coi soci miei pasta di Gragnano/troppa coca basta digrignamo), di diatribe con altri rappers (Metto sotto sti rapper, al di sotto i 7 ,/ si ,sotto al set, parlano solo se sono in 7/. Bello scenario italiano, non so italiano, che si fottano, /bambini influenzati da views che si comprano), di problemi esistenziali (Mamma non sa che mi compro la nuova macchina figa, /la mia tipa non sale in macchina se sono alla guida), della consapevolezza di essere arrivati (Su una panca re Da punk a re/ Ragazzini fanno il fanta-rap Mentre i soldi vanno in banca a me).
Il ritornello ripropone una strofa del pezzo che ha lanciato Marracash nell’Olimpo della musica rap, “Badabum cha cha”:
[quote style=”2″]Popolare sono bi-polare Troppo popolare per un bilocale
Zio vestito male perché io ho la fame quella mia di mio nonno e quella di mio padre.[/quote]
Mi sembra opportuno parlare in questo caso di intertestualità, concetto coniato all’interno degli studi letterari: come, infatti, la letteratura vive di altra letteratura, allo stesso modo la musica vive di altra musica, ed il rap lo dimostra. Marracash che cita Marracash. Veniamo, ora, all’ambito strettamente tecnico.
[quote style=”2″]Marracash:
Sono Pop come Iggy
Big Poppa: Biggie
dalle toppe alle top tope: Minny
tu fai pop porto i pop corn: Walt Disney
firmo Lauro Idol come Billy Achille[/quote]
Oltre alla presenza dominante dell’allitterazione (Big Biggie; toppe top tope; pop porto i pop-corn), è interessante la presenza di un chiasmo onomastico all’ultimo verso (firmo Lauro Idol come Billy Achille); non mancano, inoltre, i richiami musicali importanti da Billy Idol a Notorious Big, Biggie.
Insomma questa disamina, seppur provocatoria, vuole dimostrare che non esiste la banalità. Ciascuno può avvicinarsi alla comprensione di un testo musicale e scoprirci un mondo fatto di rimandi, echi, suggestioni del proprio trascorso culturale. L’uomo non è solo ciò che mangia, ma anche ciò che legge; sulla base degli strumenti che ci si procura nel corso della personale esperienza scolastico – universitaria o di quella dilettantistico – individuale, si guadagna una sorta di intraprendenza e indipendenza nell’ interpretazione di qualsivoglia testo che può rendere liberi da etichette affibbiate, molto spesso, con troppa superficialità.