Così come nei progetti strumentali non esiste voce senza band, nel panorama hip-hop la one-man-band che si occupa di tutto ciò che riguarda melodia, ritmo e groove è da sempre il producer. Siamo troppo (e male) abituati a pensare superficialmente che il frontman sia sempre l’autore principale delle canzoni che ascoltiamo, ma la verità è ben diversa e il modo per scoprirla è sempre e solo uno: Spotify > Tasto destro > Mostra riconoscimenti ed è un attimo che vengono fuori tutti gli altarini.
Apriremo anche il capitolo su quante menti stanno dietro a una canzone, “ma non è questo il giorno”. Il punto è che nel panorama underground i producer hanno sempre ricevuto i props che si meritavano. Ma quando l’hip-hop ha cominciato a diventare un genere commerciale, i producer si sono dovuti inventare un trick per marcare il territorio e soprattutto evitare che qualcuno rubasse i loro beat. Questo trick si chiama producer tag.
Posizionato generalmente all’inizio dei pezzi, il producer tag è un suono, una frase identificativa o anche semplicemente il nome del producer piazzato lì come una firma utile a chi ascolta per capire da quale sacco è uscita la farina che sta ascoltando. Non si sa chi sia stato il primo a utilizzare questo genere di watermark, ma quel ché è certo è che rispetto agli inizi, il producer tag si è trasformato da uno strumento di necessità a un momento topico e spesso irrinunciabile di molte composizioni hip hop, trap e urban.
Forse non hai mai sentito parlare di queste strane firme musicali, ma ci mettiamo la mano sul fuoco che ne conosci alcune anche tu. E se così non fosse, da bravi panettieri siamo andati a rovistare nei sacchi dei nostri producer preferiti per farti sentire 5 dei producer tags più assurdi della scena hip-hop.