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Racconti dagli anni ‘70: una possibile colonna sonora

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SALOTTO

Ogni volta che un tasto vibra, il poodle abbaia per imitare il pianoforte. Oggi, nessuna nota funziona. Stu prende la pallina da tennis, la lascia cadere a terra e la moquette è incredula, il cane non si muove.

Alcune persone tengono un diario, altre parlano con un padre o una figura simile. Stu, invece, per ragionare suona il pianoforte. Ogni accordo è un argomento, le note un elenco di pro e contro. Quando una progressione sceglie di distendersi, allora si è arrivati alla soluzione. Si è deciso cosa mangiare a cena, si è deciso se andare a pattinare con Diane o Becky.

Oggi i pattini stanno in un angolo. Stu indossa scarpe nere, lucidate per sembrare non solo eleganti, ma costose.

Diane gli ha raccontato della sinestesia, di come è possibile vedere i suoni o sentire i colori. “No no, io sento il giusto e sbagliato. Il pianoforte a volte me lo dice, che dovrei prendermi più responsabilità”.

Stu ha sbagliato molto, ultimamente, e le prove sono tutte intorno a lui: il motorino Puch Maxi è solo status quo al rovescio, ora che il prezzo della benzina è tornato sulla Terra; a quest’ora tutta Baltimore lavora, mentre lui è a casa perché il grembiule della pasticceria non gli donava abbastanza; della dolce Becky rimane solo il vecchio atelier al primo piano. Nei primi mesi, capitava che Stu salisse le scale per scegliere un quadro più adatto alla luce di quel giorno, o che cercasse ispirazione per comporre ritornelli difficili. Ora detesta la pittura. Più del modo in cui lei lo rimproverava per il disordine, più dello strano pudore che la accartocciava in certe sere. Più delle crab cake deformi, di cui poi ridevano per ore spacciandole per un’invenzione gourmet. Stu suona tre, quattro accordi con una passione che lui detesta, come detesta la coperta di velluto sul divano di pelle, o quei passi di danza che non avrebbe mai pensato di imparare davvero. Suona e le mani vanno da sole, oggi la ragione diventa sfogo: “E se tutto… tornasse… se tutto! … Tornasse!” gridava, la voce in risposta alle note nere.

La porta è aperta, c’è qualcuno.

“Ti ho sentito da fuori e ho ripensato a tutto e mi sono chiesta cosa voglio e ho ripensato: tutto.”

Il poodle si alza, raccoglie la pallina da tennis, la porta da lei.

Stu suona un Do, Becky intona qualcosa che sembra Roy Ayers.

Il cane torna da Stu, che lo accarezza.

“Bravo, Mac. Grazie.”

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“We’d invent lots of little ways to fall in love again/and all along the days just sort of came and went” – Lazy Love, Johnny Payne

A volte i numeri dicono molto. Sono 6, quasi li puoi contare sulle dita di una mano, gli accordi di Lazy Love. Sono 10 invece i secondi, con quel giro di pianoforte e quella voce lì, per capire che Johnny Payne, cantautore canadese, ha scritto la canzone perfetta. Un brano eterno che pare datato 1973 e invece arriva dopo 45 anni insinuandosi nei nostri salotti con le porte aperte, nei pomeriggi infiniti passati a guardare fuori dalla finestra, nei quadretti domestici in odorama. Di canzoni alla Harry Nillson ci sarà sempre bisogno.

Di questo ne sono convinti anche i Tennis che hanno prodotto l’ep di Johnny Payne, mettendo qualche voce qui e là a mo’ di passaggio del testimone, e che da anni sono all’inseguimento della canzone pop perfetta. I loro brani e le relative produzioni difficilmente hanno qualcosa fuori posto, quasi come se fossero guidati da numi tutelari, e attestano una vera e propria filologia musicale (tra i loro riferimenti figurano i Carpenters, Wendy & Bonnie, Margo Guryan, Alessi Brothers e Steely Dan, piccoli genietti del soft-rock e del folk applicato al pop) e un omaggio accorato al cantautorato anni ’60 e ’70 americano e inglese.

Un approccio simile è condiviso da quella splendida musica da salottini di Drugdealer, progetto del californiano Michael Collins che gioca a fare l’adult-pop con…Weyes Blood (sì, leggi bene, quella che ha collaborato nell’album di Jerry Paper!) e Ariel Pink.

Il cerchio (e la porta del salottino) si chiude. Benvenuti a casa, anni ’70.

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Racconti dagli anni ‘70

storie di Dariush Aazam Rahimiam

illustrazioni di Giulia Perin/Giuliagoesbananas

idea e commento a cura di Valentina Ziliani

Una possibile colonna sonora

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